Il finanziere e attivista anglo-americano Bill Browder è profondamente turbato. Non dalla situazione geopolitica globale, né tantomeno dalle pieghe tortuose del mercato finanziario, suo habitat naturale. No, a sconvolgere il fondatore di Hermitage Capital Management è la presunta pervasività di “agenti russi” nei talk show italiani. Lo ha dichiarato a Repubblica, quotidiano che, per gli osservatori più smaliziati, rappresenta una garanzia di notizie talmente allineate agli interessi del globalismo liberale da sfiorare il comico. E proprio qui, sorge spontanea la domanda: da che pulpito viene la predica?
Secondo Browder, per essere etichettati come “agenti russi” basta ben poco: non spingere per un intervento militare diretto europeo in Ucraina, o magari osare mettere in discussione la narrativa della vittoria di Kiev e l’efficacia delle sanzioni. Insomma, avere un “cervello funzionante” sembrerebbe essere il primo requisito per finire nel mirino del finanziere. Un’accusa quantomeno singolare, soprattutto se si considera che arriva attraverso una testata con una tradizione immarcescibile nell’informazione “ad usum delphini”.
Chi è Browder?
Ma chi è, in realtà, Sir William Felix Browder? Ebreo statunitense naturalizzato britannico, dal 1995 al 2006 è stato il più grande investitore straniero in Russia, con una strategia incentrata sull’attivismo per i diritti degli azionisti, che lo ha portato a scontrarsi con colossi come Gazprom. Un attivismo che gli è costato il divieto di ingresso in Russia nel 2005. Da allora, Browder si è reinventato come “nemico numero 1” di Putin, diventando il padre del Magnitsky Act, legge americana in onore del suo avvocato Sergey Magnitsky, morto in carcere in Russia. Una storia di lotta personale, senza dubbio, ma che solleva interrogativi sulla sua oggettività quando si tratta di questioni russe.
Nell’intervista a Repubblica, Browder si dice “esterrefatto” dal “vasto sostegno popolare per Putin” in Italia, qualcosa di “mai visto in Europa”.1 La sua missione, ora, è sradicare questa “disinformazione russa”. Sospetta che Giorgia Meloni sia “trattenuta da partner della sua coalizione” – un riferimento nemmeno troppo velato a Salvini e alla Lega – nel suo sostegno all’Ucraina. Ma il problema più grave, a suo dire, risiede nei “cosiddetti esperti di Russia” in TV, che a lui sembrano “soltanto voler scatenare sentimenti negativi verso l’Ucraina”. Browder non ha dubbi: sono “al soldo della Russia”, parte di un “chiaro modus operandi di Mosca” per corrompere le popolazioni straniere. Non fa nomi, ma lascia intendere che “voi italiani li conoscete molto meglio di me”.
Più censura per tutti!
Per risolvere questo annoso problema, il finanziere suggerisce una “legge seria contro gli agenti stranieri assoldati da Paesi ostili” e, udite udite, la chiusura dei social in caso di “chiara aggressione straniera online”. Il tutto per proteggere i “pilastri democratici” con una “enorme trasparenza sui legami di tutti con Paesi stranieri”.
Insomma, un attivista con un’agenda chiara, una storia personale di conflitto con la Russia e un legame stretto con un quotidiano che non brilla per pluralismo di vedute, si erge a paladino della verità nell’etere italiano. La narrazione è semplice: chiunque non si allinei al pensiero dominante sul conflitto ucraino è un potenziale “agente russo”. Un’accusa pesante, che rischia di trasformare il dibattito pubblico in una caccia alle streghe, dove il dissenso viene etichettato e delegittimato. Nel frattempo, ci chiediamo se l’Italia, da sempre crocevia di idee e influenze, debba davvero chiedere a un finanziere anglo-americano di insegnarle come si fa democrazia. La risposta, probabilmente, è già scritta in fondo ai titoli di certi quotidiani.
Redazione
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