Salerno, 7 luglio 1972. Una data incisa nella memoria della destra giovanile italiana, ma anche una ferita profonda per la città di Salerno e per chi crede nel diritto di esprimere le proprie idee senza morire per esse.
Accadde in pieno giorno, un giovane di ventidue anni, Carlo Falvella, militante del Fronte Universitario d’Azione Nazionale (FUAN) e studente di filosofia, veniva ucciso a coltellate mentre percorreva il lungomare della sua città.
Il suo assassino: Giovanni Marini, militante extraparlamentare di sinistra. La sua colpa? Essere un ragazzo con la camicia nera, un giovane che credeva in un’idea. In quegli anni, il clima era infuocato: piazze divise, tensioni sociali, odio politico coltivato come arma.
L’Italia attraversava gli anni di piombo, e la violenza era purtroppo diventata un linguaggio frequente, spesso accettato, talvolta persino giustificato.
Un’ideale più forte della morte
Carlo non cercava lo scontro. Era un ragazzo mite, colto, appassionato di filosofia e politica. Credeva che la destra giovanile potesse essere anche cultura, dibattito, costruzione. Era attivo, ma mai fanatico. E proprio per questa dedizione silenziosa, per quella camminata tra la gente a viso scoperto, pagò il prezzo più alto.
L’aggressione fu improvvisa e feroce. Un fendente al cuore, sotto gli occhi increduli dei passanti. Carlo aveva gravi problemi alla vista che, secondo i medici, gli avrebbero comportato entro i trent’anni la completa cecità e questo gli rese più difficile potersi difendere ed i suoi assalitori lo sapevano.
Una memoria che non si spegne
Ogni anno, il 7 luglio, militanti, ex studenti, uomini e donne di tutte le età si ritrovano davanti alla lapide in Via Velia, là dove Carlo cadde. Lo fanno in silenzio, con una preghiera, un fiore, un pensiero. Non per odio, non per vendetta, ma per ricordare.
Perché nessuna idea vale una vita, ma una vita può valere un’idea. Un simbolo, non un’icona Carlo Falvella non è un feticcio politico.
È diventato il simbolo di una gioventù tradita dallo Stato e dalla società, che ha pagato con il sangue il diritto di esserci. Il suo nome vive oggi nelle sezioni giovanili, nelle piazze, nei cuori di chi non ha mai accettato la logica dell’eliminazione dell’avversario.
Pino Rauti, parlava di lui come “il volto pulito della militanza”
Carlo vive
Nonostante il tempo passato, la sua storia continua a commuovere, a indignare, a unire. Non è solo un pezzo di storia della destra italiana, ma un capitolo del grande libro delle passioni giovanili italiane.
Un ragazzo di ventidue anni, con i sogni in tasca e una fede incrollabile, che ha camminato per la sua città… Senza sapere che quella sarebbe stata la sua ultima strada.
Oggi, chi lo ricorda, lo fa con gli occhi lucidi ma fieri.
Perché Carlo Falvella è vivo nel cuore di chi rifiuta l’odio, ma non dimentica la verità.
Valerio Arenare
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