Dal palco del Meeting di Rimini, Mario Draghi ha regalato al pubblico una rivelazione sorprendente: l’Unione Europea non pesa nello scenario internazionale.
Una folgorazione tardiva: milioni di cittadini europei se n’erano accorti da tempo, vivendo sulla propria pelle un’ Europa capace solo di imporre vincoli e parametri, ma mai di esprimere una vera politica. E qui sta il nodo: l’UE è incapace di fare politica.
È organicamente, professionalmente e perentoriamente in grado di occuparsi di ciò che interessa ai burocrati e ai lobbisti che la abitano. Ma quando si tratta di dare risposte concrete ai cittadini – lavoro, famiglie, welfare –allora cala il sipario.
La politica sociale è stata sacrificata in nome della “sostenibilità dei conti” e degli “interessi personali”, mentre oggi si pretendono enormi spese comuni per armamenti e per un green calato dall’alto, lontano dalla vita reale delle persone. Draghi questo lo sa bene, perché tra il 2011 e il 2019 è stato presidente della BCE: la cabina di regia dell’unica vera “politica comune” europea, quella economico-finanziaria.
È stato lui a consolidare l’idea di un’ Europa ridotta a ragioniere senza anima, ossessionata dallo spread ma indifferente alla disoccupazione giovanile, ai servizi tagliati, alla povertà crescente.
Tutto ciò è accaduto anche “grazie” al suo euro irreversibile: quel mantra pronunciato nel 2012 (“faremo tutto il necessario per preservare l’euro”) che rassicurò i mercati e blindò la moneta unica. Una promessa che salvò i bilanci, certo, ma al prezzo di inchiodare i popoli europei a una struttura rigida, intoccabile e impermeabile alle vere necessità sociali.
La trappola del debito comune
Eppure oggi lo stesso Draghi invoca un “debito comune”.
Ma non si accorge di pestarsi la coda: gli eurobond non sono certo un’idea nuova. Li aveva già proposti Giulio Tremonti. E perché non si sono mai fatti? Perché l’asse franco/tedesco li ha sempre rifiutati, e nemmeno il “salvatore dell’euro” riuscì a forzare quella linea (se mai si fosse proposto di farlo).
Adesso, da ex protagonista, appare paradossale sentirlo piangere sul latte versato. Il resto è la solita commedia: Bruxelles pretende contributi in nome di presunti obiettivi comuni, ma quei soldi finiscono per alimentare meccanismi autoreferenziali e filiere di potere che non hanno nulla a che fare con i bisogni popolari.
Meno sanità, meno welfare, più vincoli e più imposizioni. Draghi dice che l’Europa non conta nulla sul piano geopolitico.
Ha ragione, ma dimentica di aggiungere che questo è il risultato di un progetto costruito a misura di banchieri e burocrati, non di popoli.
Se oggi l’UE è irrilevante, è perché ha scelto la moneta al posto della politica. E chi ne è stato l’architetto non può fingere di sorprendersi.
Gianluca Mingardi
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