Il settantottesimo numero della serie di “Eurasia” si configura come un’analisi a tratti tagliente, a tratti profetica, della deriva dell’imperialismo statunitense e israeliano.
Sin dalle prime pagine, l’editoriale del direttore si presenta come una provocazione consapevole: la creazione, da parte dell’amministrazione Trump, dell’“Ufficio della Fede” presso la Casa Bianca viene letta come un tassello di una più ampia strategia, nutrita da una simbologia biblica e da un messianismo che coinvolge tanto l’evangelismo statunitense quanto il giudaismo sionista. La convergenza tra potere politico, interessi israeliani e visioni apocalittiche vengono illustrati con dovizia di fonti, in un crescendo che intreccia le dichiarazioni rabbiniche alle benedizioni televisive, fino a insinuare una conversione segreta di Trump al giudaismo chassidico. L’editoriale non solo decostruisce l’immagine pubblica del tycoon, ma lo inquadra come attore funzionale a un disegno escatologico che ha il suo fulcro nella ricostruzione del Tempio di Gerusalemme.
Geopolitica
La sezione geopolitica, articolata e documentata, affronta tematiche che spaziano dall’orbita terrestre alla profondità dei mari artici. L’articolo di Amedeo Maddaluno sui satelliti mette a nudo l’ambiguità dell’accordo italiano con la statunitense SpaceX, denunciando il rischio di una dipendenza tecnologica e strategica da un monopolio privato straniero. La critica è tanto più efficace quanto più si fonda su elementi concreti, come la marginalizzazione dei programmi europei, l’insipienza politica italiana e la vulnerabilità strutturale delle nostre industrie spaziali.
Il dossier centrale, che dà il titolo al fascicolo, si dipana attorno all’assunto che l’Occidente, in corso di ristrutturazione nella nuova versione “trumpiana”, si configuri come un duopolio israelo-americano. I contributi si distinguono per profondità analitica e varietà prospettica: dalla questione palestinese alla Siria post-Assad, dall’Iraq post-bellico alle ingerenze americane in Tibet.
Particolarmente rilevante è il contributo che rilegge l’Artico non più come terra desolata, ma come teatro vivo della contesa tra potenze. Qui, lo scioglimento dei ghiacci diventa metafora della fusione accelerata di ogni illusione post-storica: la fine della neutralità climatica apre infatti scenari di sfruttamento economico, militarizzazione e nuove vie marittime – con Mosca, Pechino e Washington impegnate in una partita di scacchi glaciale, dove ogni mossa è carica di implicazioni strategiche.
La centralità euroasiatica
Le interviste finali – rilasciate da due illustri accademici – forniscono un contrappunto di riflessione più sobria, restituendo un’immagine della Russia e dell’Occidente meno stereotipata, più stratificata, meno incline alle narrative moralistiche. “Nel mirino dell’Occidente”, nel complesso, un numero denso, spigoloso, politicamente scorretto, come ogni opera autenticamente non allineata. Il tono è volutamente antagonista, eppure non sterile: in un’epoca che ha fatto del pensiero unico la sua corazza ideologica, la rivista “Eurasia” osa proporre una chiave di lettura fondata sulla centralità dello spazio eurasiatico e sulla fine dell’illusione liberale. La sua voce, seppur minoritaria, resta una delle poche che osano pensare il mondo al di fuori delle gabbie concettuali e ideologiche.
Matteo Pio Impagnatiello
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