C’è qualcosa di più grande, e più inquietante, dietro la vicenda di Ilaria Salis.
Al di là delle responsabilità ancora tutte da accertare — come ricordato nell’articolo pubblicato da La Verità («La sua banda mi ha rovinato. Vergogna la Salis impunita», 9 ottobre 2025) — resta il fatto che una persona arrestata in Ungheria per fatti commessi quando non era ancora eurodeputata si è vista garantire l’immunità parlamentare grazie a un voto risicato e politicamente orientato del Parlamento europeo.
Il punto, per chi osserva, non è ora la colpevolezza o l’innocenza della Salis: il punto è il principio. Quando la legge diventa una questione di appartenenza ideologica, la giustizia smette di essere universale.
E la vicenda Salis ne è l’esempio più lampante. Da un lato, abbiamo un fronte politico e mediatico che ha visto in questo caso un’occasione per punire Orbán, non per difendere la giustizia. Per certi ambienti progressisti europei, concedere all’Ungheria il diritto di processare una militante di estrema sinistra sarebbe equivalso a “legittimare un regime illiberale”.
Dall’altro lato, c’è chi, nel centrodestra continentale, ha colto la palla al balzo per strumentalizzare politicamente la vicenda, denunciando i presunti “due pesi e due misure” dell’Europa, ma senza però modificare le pratiche istituzionali che già favoriscono i propri alleati. In mezzo, come sempre, la gente comune: cittadini che pagano le tasse, rispettano le regole e non avranno mai accesso a immunità politiche.
Per loro non esistono eccezioni, privilegi o interpretazioni convenienti della legge. È qui che la storia di Ilaria Salis si trasforma in simbolo: non della giustizia che trionfa, ma dell’ingiustizia che si traveste da principio democratico.
L’immunità parlamentare, nata per proteggere l’indipendenza dei rappresentanti del popolo, diventa così uno scudo ideologico, usato a seconda della convenienza del momento.
E mentre Bruxelles brinda al “successo dell’antifascismo europeo”, e Orbán finge indignazione per guadagnare consenso interno, nessuno si accorge che il messaggio mandato ai cittadini è de vastante: chi fa parte dei circuiti protetti può contare su privilegi, mentre per gli altri valgono regole rigide e inappellabili.
È questo, in fondo, il volto reale dell’Europa dei diritti: diritti per pochi, immunità per alcuni, processi per tutti gli altri.
Gianluca Mingardi
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