Il festival deve ancora iniziare che già si configura come la solita carrellata trash.
Salvo qualche nome, che deve comunque fare i conti con l’anagrafe, i “cantanti” in gara sono ben lontani dagli anni d’oro delle grandi voci nostrane, invidiate e cantate in tutto il mondo.
E come se non bastasse, alla deriva spazzaturaia che ormai è di casa all’Ariston, si aggiunge anche la malattia woke, che da anni a questa parte la fa da padrone sul palco, mettendo la musica, come detto già di per sé orribile, in secondo piano.
Non mancano le domande dei giornalisti sull’antifascismo dei presentatori, non mancheranno le passerelle progressiste che invaderanno i giornali e, anche stavolta, non sono mancate le polemiche inutili di cantanti che vogliono far parlare di sé.
Francamente chi è?
È il caso di Elodie, che ormai li ha rotti come già hanno fatto i Ferragnez, che invece di parlare delle sue canzoni deve dirci che non vota Meloni.
Ed è il caso di questa tal Francamente (chi è?) che rifiuta di cantare l’inno di Mameli perché poco inclusivo.
Proprio quell’inno, di quella repubblica tanto osannata ma forse rispettata più dai suoi detrattori che dai difensori, quell’inno che spinge all’unione e non alla divisione. E questa cantante, che fortunatamente non ci delizierà con certe performance, vorrebbe cantarlo vestita alla queer, inscenando di fatto uno spettacolo da circo.
Il Festival, sulla rete ammiraglia della cosiddetta “telemeloni” (termine usato da chi evidentemente dovrebbe andare in terapia) si configura ancora come una provocazione a chi ancora vuole un po’ di bene a questa bella Nazione e all’umana intelligenza.
E se Francamente non canterà l’inno, francamente ce ne infischiamo.
Lorenzo Gentile
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