Il dibattito di queste ore che seguono il toccante funerale di Papa Francesco e precedono il conclave è tutto concentrato su chi sarà il successore di Bergoglio. Il toto nomi, come per ogni scommessa che si rispetti, è partito da giorni e domina le prime pagine dei giornali e le aperture di quasi tutti i telegiornali.
Con la sincerità spontanea che da sempre mi anima posso dirvi che non provo grande fascino o attenzione per questo avanspettacolo clericale, pur sentendo nel cuore un richiamo forte per un cardinale amico e padre che parteciperà al prossimo conclave. In questi giorni di lavoro intenso per il deposito delle liste elettorali per le prossime amministrative sono stato travolto anche da pochi ma toccanti momenti in cui è tornato a sfiorarmi il “silenzio di Dio”.
Il silenzio di Dio
Sì, avete letto bene, quello che il Card. Ratzinger definiva come il linguaggio più familiare e diretto con cui Dio parla all’uomo. Attimi che mi hanno aiutato a capire che non è una questione umana che è in gioco, ovvero un nome od un altro come Pontefice, ma una questo divina che è allo stesso tempo profondamente terrena: il segno che vuole lasciare la Chiesa negli anni a divenire.
Quindi arriviamo al punto della questione: non attendo un Papa, attendo la Chiesa. Le sfide del tempo che verrà sono già chiare e decisive oggi: mutazione genetica dell’umano e della natura della famiglia, nuovo rapporto col creato, nuove frontiere dei diritti umani in rapporto con i nuovi paesi emergenti e emergenza demografica in relazione con le migrazioni.
Terreno di scontro su cui la parola della Chiesa sarà ancora una volta decisiva. Durante il Pontificato ci ha sorpreso la lettura d’avanguardia e di grande respiro che ha visto la Chiesa lavorare per la pace in Ucraina e Terra Santa, condannare le ideologie più violente come il gender o l’utero in affitto, riaffermare il valore fondante della civiltà umana che poggia sulla famiglia e la sfida di un’Occidente capace di accogliere ma nella consapevolezza che non si può garantire soccorso se non ci sono le condizioni umanitarie e sociali per farlo: ora serve rafforzare e radicare questa vitalità che unisce una pugnace chiarezza valoriale con un creativo protagonismo sociale.
La Pace
L’immagine dell’incontro tra Trump e Zelenski dentro le mura di San Pietro è la plastica fotografia del cammino che attende il mondo e la Chiesa che verrà: la pace può essere il linguaggio diplomatico universale solo se la lezione del Vangelo tornerà ad animare lo spirito dei Capi di Stato di ogni parte dell’universo. Servirà quindi una Chiesa che, come dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, si faccia carico della lunga e faticosa ma necessaria opera di ricostruzione nutrendo il proprio dinamismo spirituale attraverso la sempre crescente vitalità di fede presente in Sud America, Africa ed Asia. Senza aver paura di modellare forme nuove pur sempre fedeli alla Parola di Dio: non è un caso che il cristianesimo, nel mondo, si è radicato mutando di paese in paese in base alle tradizioni e sfaccettature etniche senza mai allontanarsi da quella che noi cristiani conosciamo come “Via, Verità e Vita”.
Buon conclave, buon Anno Santo a tutti ma soprattutto gustatevi, se potete, il silenzio di Dio perché abbiamo bisogno della carezza di un Padre per essere dei figli veramente protagonisti del nostro tempo.
di Mirko De Carli
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L’unica cosa “toccante” è che il megafono del globalismo di sinistra, il Soros in bianco del Vaticano, non sia schiattato una cinquantina d’anni fa, prima d’impestare nel peggiore dei modi possibili il pochissimo che restava della Chiesa dopo l’infame Concilio Vaticano II.