Puntuale come un treno del Ventennio, torna il dibattito sul ponte sullo stretto. Tirato fuori, rimesso in un cassetto, ritirato fuori, rimesso in un cassetto, ora Salvini sembra voler fare sul serio e prosegue per la via.
E ovviamente cosa fa l’opposizione? Si oppone, certo.
L’Italia di fine Ottocento, una nazione antica ma in uno Stato giovane e ancora pieno di contraddizioni, partì in quarta per colmare il divario con altre realtà europee anche in materia di infrastrutture. Dove prima c’erano le mulattiere comparivano le ferrovie.
E negli anni 20 veniva realizzata la prima autostrada del mondo, in senso propriamente detto, dando inizio a un nuovo modo di muoversi in una realtà sempre più di fretta. Nel dopoguerra, con un certo ritardo rispetto agli altri Paesi, arrivarono in Italia anche le prime metropolitane.
E negli anni 50 si decise di creare quella che venne chiamata la spina dorsale d’Italia, l’autostrada del sole, simbolo di un’Italia che ancora una volta voleva risorgere, seppur guidata da partiti che poi si evolveranno in ciò che conosciamo.
E li cominciarono le contestazioni, in particolare alimentate dal PCI. Quel partito che guardava con ammirazione la crescita dell’Unione Sovietica ma voleva impedire quella del suo Paese.
Andando ai giorni nostri, troviamo i comitati No Mose a Venezia, no TAV – terzo valico in Piemonte, no Skymetro a Genova ed ora i no ponte a Messina.
Tutti facenti parte di realtà di sinistra, tutti contrari a prescindere senza alternative concrete.
Esterofili
Persone che hanno gli occhi a cuore quando vedono me grandi opere realizzate in nord Europa, in Germania e Francia, in nord America, Giappone, Cina e Oceania, ma che sono contrari se quelle stesse opere vengono realizzate da noi, proprio come quei comunisti negli anni passati.
I motivi sono sempre gli stessi, “ci sono le mafie che proveranno a entrare”, “ci sono cose più urgenti a cui pensare” (a cui però loro non hanno pensato quando erano al potere), “in Italia facciamo i lavori male”, “chi paga?”… Solite scuse che alimentano le polemiche e rallentano un Paese che per sua natura è in grado di fare cose non grandi, ma grandissime.
Gli stessi che poi vedendo la repubblica antifascista, su cui hanno un’ossessione quasi feticistica, indietro rispetto al resto del mondo decidono di emigrare. Gli stessi che in questi casi si improvvisano ingegneri e geometri, salvo poi ironizzare su chi ha laurea da web quando si tratta di altri contesti, con tanto di meme e battute ormai scontate.
Antifascismo
E ancora, nelle manifestazioni di protesta non può mancare l’elemento antifascista e cori alla bella ciao, segno tangibile di come l’antifascismo sia una catena che impedisce a questa bella Italia di crescere e risorgere ancora.
Attenzione però a dire che ogni opera vada accettata senza dibattito, purché non si prolunghi negli anni. Il caso TAV, solo per quanto riguarda la parte in Val Susa, è uno di quei rari momenti in cui potrebbe esserci un elemento anche razionale nella contrarietà. Ma questo è un altro discorso.
Oggi la democrazia italiana nata dalla resistenza è solo il pretesto per dire no a prescindere, la fiera dei bastian contrari che trae le sue origini in un’opposizione fine a sé stessa, dove l’antifascismo è diventato anti tutto.
Lorenzo Gentile
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