Uno bianca: Roberto Savi strumento dei servizi segreti?
Può essere, come si delinea dalle nuove inchieste aperte su input anche di ciò che è stato pubblicato su queste pagine a proposito della Strage di Castel Maggiore. Ma di quale possibile branca “deviata” dei nostri apparati di sicurezza degli anni ‘80?
A “L’Espresso” pare non abbiano dubbi: a quelli che avrebbero fiancheggiato l’estremismo neofascista.
A dimostrarlo, l’episodio del 30 gennaio 1996, quando in Questura ad Ancona Sergio Picciafuoco, imputato e assolto in via definitiva nel processo per il 2 agosto 1980, disse di aver riconosciuto nel poliziotto riminese in forza a Bologna uno dei tre che lo avrebbero sequestrato e percosso qualche anno prima.
Eppure, se fosse vero quel che Picciafuoco ha raccontato, dovrebbe indurre tutti, anche i cronisti de “L’Espresso”, a ragionare diversamente.
La leggenda degli estremisti di destra
Infatti, che i componenti della “Uno bianca” fossero “estremisti di destra” è una leggenda non sostanziata da nulla.
Mentre, a credere a Picciafuoco, i poliziotti che lo avrebbero picchiato a sangue lo fecero per tentare di estorcergli confessioni compromettenti a carico dei “Nar” e degli imputati al processo per la Strage di Bologna.
Non è contraddittoria l’ipotesi un’azione intimidatrice dei “servizi segreti deviati” ai danni di un imputato assolto per la bomba alla stazione, al fine di compromettere gli altri “camerati” ancora alla sbarra, in una logica di “estrema destra”?
Lo è, eccome se lo è.
E se non fosse una tesi che pare tirata fuori dal cilindro del solito “prestigiatore giudiziario” e, quindi, del tutto campata per aria e da non ragionare neppure; a voler per forza esercitarsi in dietrologie, ci sarebbe da chiedersi se un eventuale impiego dei Savi in una tale operazione non debba essere messa in relazione, semmai, alle non del tutto chiarite attività di alcuni investigatori dell’allora Digos di Bologna che, di fatto, permisero alla “Banda della Uno bianca” di restare un mistero per diversi anni.
La Digos investiga
E già, perché questa è la realtà incontrovertibile delle cose – testimoniate da precise evidenze documentali e processuali -: almeno uno degli investigatori più noti della Digos bolognese era contestualmente anche uno dei due “capi” del nucleo speciale addetto alle investigazioni sulla Strage del Pilastro e sui delitti della “Uno bianca”.
Uno di quelli, se non quello maggiormente responsabile della gestione della “teste” mendace, Simonetta Bersani, secondo la quale a sterminare i giovani carabinieri al Pilastro sarebbero stati un gruppo di ragazzini del quartiere.
Uno di quelli che, coordinando le indagini insieme all’allora capo della Criminalpol emiliana, ebbe sottomano per mesi carte e riscontri in cui il cognome dei Savi ricorreva molteplici volte, senza mai che gli si accendesse una luce nel cervello.
Politicizzare la banda della uno bianca?
Non è curioso questo tentativo – a fronte di esposti che indicano chiaramente dove orientare eventualmente le nuove indagini sui delitti della “Uno bianca” – di “politicizzare” l’azione dei fratelli Savi e dei loro complici, per di più dimenticando il ruolo svolto, nelle indagini che per sette anni non portarono a nulla, di uomini come Lorenzo Murgolo, oppure Gaetano Chiusolo, i quali certamente “di destra” non sono?
A Bologna, forse, si è a un passo dalla verità sull’epopea criminale della “Uno bianca”, una verità amara, dura da digerire anche per chi sta lavorando per portarla alla luce: perché qualcuno scatta in “fughe in avanti”, senza documentare nulla di quanto si sostiene e si scrive?
C’è bisogno, forse, di una nuova narrazione, di una nuova lettura che, andando incontro “al gusto” della gente e di certi settori della magistratura e delle forze di sicurezza, impedisca di capire cosa sia successo realmente a Bologna, tra il 1987 e il 1994?
Massimiliano Mazzanti
Il 2diPicche lo puoi raggiungere
Attraverso la Community WhatsApp per commentare le notizie del giorno:
Unendoti al canale WhatsApp per non perdere neanche un articolo:
Preferisci Telegram? Nessun problema: