A Verona, città shakespeariana non solo per drammi amorosi ma, a quanto pare, anche per quelli automobilistici, si sperimenta il “Trucam”. Un nome che suona quasi minaccioso, evocando scenari da Grande Fratello orwelliano applicato alle nostre strade. Questo prodigio tecnologico, presentato con enfasi degna del lancio di un nuovo smartphone, promette di stanare gli automobilisti indisciplinati fino a 1,2 chilometri di distanza. Addio, dunque, al vecchio e ingenuo autovelox che si illudeva di sorprendere i piloti da Formula 1 nostrani solo in prossimità del suo raggio d’azione. Il Trucam vede tutto, registra tutto, analizza persino se il guidatore si gratta il naso con fare sospetto.
Certo, la premessa è nobile: garantire la sicurezza stradale. Ma, diciamocelo sottovoce, in un Paese dove le buche stradali competono per profondità con i misteri della fede e i cantieri autostradali sembrano installazioni artistiche permanenti, la priorità assoluta è davvero scovare chi supera il limite di qualche chilometro orario un chilometro prima? Non sarà che, dietro questa zelante crociata contro l’eccesso di velocità, si nasconda il miraggio di rimpinguare le asfittiche casse comunali?
Il Trucam, con la sua capacità di multare chi “segnala mediante l’utilizzo dei fari ad altri veicoli la presenza dello strumento”, introduce un nuovo livello di paranoia stradale. D’ora in poi, un innocuo lampeggio di cortesia potrebbe trasformarsi in una salata contravvenzione. Vien quasi da immaginare pattuglie appostate in incognito, pronte a sanzionare la solidarietà tra automobilisti. Un vero e proprio “occhio non vede, multa non duole” elevato a sistema.
E che dire della sua abilità di “analizzare i comportamenti alla guida” e controllare l’uso dello smartphone o delle cinture di sicurezza? Ottimo, per carità. Ma la linea tra la sacrosanta sicurezza e l’invadenza nella sfera privata, soprattutto se motivata da impellenti necessità finanziarie dell’ente pubblico, si fa pericolosamente labile. Non vorremmo ritrovarci con un Comune di Verona che, forte di video in alta risoluzione dei nostri abitacoli, ci sanziona per un’occhiata di troppo al navigatore o per un passeggero che, nell’intimità del proprio spazio, osa slacciare la cintura per qualche istante.
La retorica rassicurante della presentazione ufficiale (“chi percorre la strada rispettando il limite di velocità non verrà filmato”) suona quasi come una velata minaccia per tutti gli altri. È un invito implicito a guidare sull’attenti, con le mani ben salde sul volante, lo sguardo fisso sulla strada e, soprattutto, il portafogli ben allacciato.
Certo, l’aumento del 37% delle multe da autovelox nel 2023 ci dice che la tendenza è chiara. Il Trucam, con la sua presunta infallibilità predittiva e la sua onniveggenza chilometrica, non farà che accelerare questa “virtuosa” spirale. Forse, invece di investire in sofisticati strumenti di riscossione occulta, le amministrazioni potrebbero concentrarsi un po’ di più sulla gestione oculata delle risorse, evitando quegli “sprechi fatti” che poi si cerca di colmare tartassando gli automobilisti.
In fondo, la strada dovrebbe essere un luogo di transito, non un terreno di caccia per le casse comunali in affanno. E il Trucam, con la sua aura di infallibile delatore, rischia di trasformare ogni viaggio in un’ansiosa attesa della prossima “sorpresa” in arrivo da un chilometro e duecento metri di distanza. Speriamo solo che, insieme alla velocità, non venga misurata anche la nostra pazienza.
Redazione
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