Ci sono tradimenti che fanno rumore, altri che si consumano nel silenzio colpevole della stampa amica e delle istituzioni compiacenti.
Il caso di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e Presidente del Consiglio, appartiene alla seconda categoria. Eletta con il sostegno di milioni di italiani che speravano in un ritorno all’orgoglio nazionale, alla difesa dell’identità, alla fine delle politiche globaliste e al ripristino della sovranità, Meloni ha rapidamente tradito ogni singola promessa, riducendosi a esecutrice disciplinata dell’agenda progressista e filo-europea.
Il suo governo, lungi dall’essere il “governo dei patrioti” che aveva promesso, si è rivelato una macchina perfetta per la continuità del sistema. Le politiche migratorie non solo non sono state invertite, ma sono state addirittura rese più ambigue e inefficaci, con l’illusione di accordi con Paesi terzi che continuano a non funzionare.
I flussi migratori restano fuori controllo, mentre nei quartieri popolari gli italiani continuano a vivere nell’insicurezza, ignorati da uno Stato che preferisce tutelare le ONG e i nuovi cittadini a discapito dei propri. In economia, Meloni ha scelto la linea del rigore europeo, blindando il pareggio di bilancio e inchinandosi ai diktat di Bruxelles.
Altro che sovranismo economico: il governo ha approvato misure timide, ininfluenti, e ha completamente abbandonato l’idea di una banca pubblica, di un intervento massiccio dello Stato a sostegno del lavoro nazionale o della produzione italiana.
Discontinuità ?
Nessuna discontinuità reale con Draghi, nessun segnale verso una vera rivoluzione sociale in senso identitario.
Sulla scuola, sulla famiglia, sui temi culturali e valoriali, la Meloni ha abbracciato la retorica politicamente corretta. Nessuna battaglia contro l’ideologia gender nelle scuole, nessun sostegno concreto alla natalità se non in forma di bonus cosmetici.
E quando si è trattato di affermare una visione alternativa a quella del progressismo dominante, ha preferito il silenzio, o peggio ancora, la connivenza.
La sinistra culturale, invece di temerla, oggi la applaude per la sua “moderazione”.
È sempre più chiaro che Meloni ha scelto di essere il volto “accettabile” della destra per i salotti buoni dell’UE e della NATO. Una destra addomesticata, buona per la televisione e per le cerimonie ufficiali, ma assolutamente inadeguata a rappresentare le istanze profonde di un popolo che chiede verità, identità, giustizia sociale e un ritorno ai valori tradizionali.
Diciamolo senza ambiguità: Giorgia Meloni ha smesso da tempo di rappresentare la destra radicale, e oggi è il cavallo di Troia della sinistra dentro la destra.
Un governo così non è nostro alleato, ma nostro avversario.
L’Italia merita una vera alternativa patriottica, che non abbia paura di essere radicale, perché solo chi è radicale nella difesa del popolo può dirsi veramente dalla parte della Nazione.
Giustino D’Uva
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