Nel tempo della dispersione e dell’apatia, in cui l’individuo è educato alla solitudine, al consumo e all’indifferenza, si impone il dovere di ripensare il rapporto tra cittadino e Stato, tra libertà e responsabilità, tra individuo e comunità.
In questo contesto, il ripristino della leva militare obbligatoria non è una misura nostalgica o repressiva, bensì una scelta politica e civile di rigenerazione collettiva.
Nel servizio militare, l’uomo o la donna giovane apprendono ciò che la società civile non sa più insegnare: la disciplina, il rispetto, il senso del dovere, la conoscenza del proprio ruolo all’interno di un organismo più vasto. Loro cessano di essere solo una monade fra milioni, per diventare parte attiva di un corpo, di una missione, di una patria.
Non si tratta solo di addestramento fisico o tecnico, ma di formazione morale. La leva obbligatoria agisce come livello iniziale di partecipazione all’ordine gerarchico della comunità nazionale, dove si riconosce l’autorità di chi guida, ma anche la dignità di chi obbedisce.
L’addestramento militare non è riduzione dell’individuo, ma educazione alla sua funzione sociale. In un’epoca di pseudo-libertà e di culto dell’ego, riscoprire l’obbedienza come atto cosciente e nobile è un gesto rivoluzionario. Tuttavia, perché questo sistema sia giusto e non degeneri, è necessario che sia sorvegliato da un ordine etico superiore.
Non si può ripristinare la leva come atto meccanico o burocratico. Serve una visione. La formazione militare deve essere ispirata da valori limpidi, estranei al degrado partitico e ai giochi di potere della società civile.
I vertici militari devono rispondere a una logica di servizio e onore, non di carriera o complicità politica. Allo stesso modo, i giovani chiamati alla leva devono sapere che obbedire non significa sottomettersi, ma contribuire alla difesa di un ordine comune. In questo equilibrio tra vertice e base, tra comando e servizio, può emergere la figura di un cittadino nuovo: temprato, consapevole, orientato al bene collettivo.
La leva diventa allora non solo un mezzo di difesa della patria, ma un laboratorio di formazione morale, un antidoto alla frammentazione, un’occasione per restituire dignità a un’intera generazione, oggi abbandonata all’inerzia di una scuola fiacca e di una società permissiva.
Ripristinare la leva militare significa ricostruire le fondamenta etiche della nazione. È un atto politico di verità, che guarda non al consenso immediato, ma alla salute futura della comunità.
L’uomo e la donna che hanno servito, che hanno conosciuto la fatica, l’autorità, la responsabilità, saranno persone più salde, lavoratori più seri, cittadini più leali.
Ed è di uomini e donne così che abbiamo urgente bisogno.
Gianluca Mingardi
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Cioè fatemi capire, dopo 20 anni volete ripristinare cosa, e con quali elementi?.
E tutta la generazione che ha “saltato” la leva?.
Oramai non ci si può fare più nulla.
Siamo finiti, finiti e Ve lo dico perché ho trascorso ben 41 della mia vita nelle forze armate.