L’invasivo bombardamento delle coscienze, che- a conforto del raffinato umanitarismo democratico -, suole graziosamente mimetizzarsi sotto il termine innocuo e rassicurante di “informazione”, ricorre alla tecnica, assai diffusa e sperimentata, consistente nel sovrapporre al racconto dei fatti l’interpretazione gradita agli abili creatori e manipolatori della cosiddetta “opinione pubblica”.
Questa logora e nebulosa entità concettuale racchiude l’essenza di un sistema attento a neutralizzare il senso della realtà nelle fredde computazioni statistiche e quantitative di ciò che comunemente “si pensa” o “si dice”; o, per richiamare più direttamente le deficienti premesse ideologiche del suddetto sistema, di ciò che, in conseguenza delle sue insinuanti manovre propagandistiche, si vorrebbe che le maggioranze “sovrane” pensassero o dicessero.
Sopraffatti dal proliferare delle notizie più disparate e dei più futili pettegolezzi; frastornati dall’intensificarsi di una falsa informazione, intesa a suscitare nel pubblico ignaro il convincimento della “globale” inesorabilità del caos, gli inerti spettatori della comunicazione subliminale scontano i felici vantaggi dei diritti loro largiti per gentile concessione oligarchica con una paurosa e lacerante dissociazione dalla realtà autentica, ordinata secondo precisi canoni metafisici ed etici.
A ben vedere, la prontezza dei gestori dell’informazione truccata nel commisurare la narrazione delle vicende politiche e sociali contemporanee agli intendimenti dei padroni del ridente panorama concentrazionario del “pensiero unico” e delle sue inessenziali varianti, è un riflesso della tendenza alla normalizzazione del disordine, vagheggiata (per riprendere una puntuale definizione di Maurice Bardeche) dai remuneratissimi “servi della democrazia”.
Un avvenimento non vale tanto per la sua specifica e concreta rilevanza: il suo peso è proporzionato ai particolari effetti psicologici e sociali che ci si ripromette di conseguire attraverso la metodica e ossessiva ripetizione di menzogne, elevate al rango di verità obbligatorie.
Tale operazione, disinvoltamente condotta dagli imbonitori della svagata e amorfa “opinione pubblica”, consegue positiva attuazione in una società decomposta, popolata da uomini-massa che, avendo sperimentato una fruttuosa consuetudine con i benefici della libertà di pensiero e delle altre esaltanti “conquiste” moderne, sono stati privati delle più modeste ed elementari capacità critiche.
La disposizione a travisare sfacciatamente i fatti pur di non pregiudicare la sbandierata validità della democrazia, si radica in un costume ampiamente consolidato: la sua diffusione, legittimata dalle insopprimibili istanze del “progresso”, è valsa a oscurare la memoria delle stragi che, dalla Vandea al Messico, hanno svelato il volto sinistro della sedicente civiltà moderna.
La tesi aberrante, che sancisce la gravità di un crimine in base alle posizioni politiche di chi lo determina o lo commette, riemerge oggi nella sfrontatezza e nella faziosità dei commentatori liberal-democratici che, per scagionare i sionisti da ogni accusa, non hanno esitato a retrocedere la strategia genocidaria da essi costantemente perseguita contro il popolo palestinese, a livello di “opinione” poco plausibile.
Ciò dimostra come l’umanitarismo strombazzato dai progressisti non riesca a dissimulare la giustificazione delle prepotenze e dei delitti perpetrati in nome della sopraffazione demo-plutocratica.
Riportando il discorso ad una prospettiva più generale, non sarebbe inappropriato indagare se e in quali termini i media, preposti a diffondere contenuti oscillanti tra demenzialità e mistificazione, siano corresponsabili del clima di dissoluzione morale che corrode la nostra disgraziata Penisola.
Se un esponente dell’attuale maggioranza governativa ha espresso il proposito di affidare alla scuola il fine di “sradicare” la violenza, avviando un opera che sarebbe parsa oltremodo ardua perfino a un San Francesco d’Assisi, non è dato capire come tale audace aspirazione, di gran lunga superiore alle limitate capacità umane, possa soddisfacentemente conseguirsi nel quadro di un sistema che, in ragione della sua rivendicata laicità, disconosce, in linea di principio, le conseguenze del peccato originale e la forza risanatrice della Grazia divina.
A dispetto delle lusinghiere previsioni dei dirigenti della meritoria “pubblica istruzione”, chiunque riconosca la dissennatezza dell’intento di fondare la formazione (leggi: deformazione) delle giovani generazioni, su un venefico miscuglio di resistenza e gender, è sanamente portato a dubitare delle virtù taumaturgiche, incautamente conferite alla fatiscente scuola italiana.
La vuotezza delle su riferite dichiarazioni, il cui velleitarismo sembra rivolto a radicalizzare la negatività dei fenomeni verbosamente riprovati, è sottolineata, per antitesi, dal risalto indiscreto che i media destinano alle vicende più aberranti delle cronache quotidiane.
Per raggiungere i suoi obbiettivi, la comprovata scaltrezza dei persuasori occulti si giova di accorgimenti ancor più sottili e spregiudicati: la violenza è preventivamente situata al di fuori di ogni compromissione con i meccanismi di un potere che, in adesione alle sue mai rinnegate radici materialistiche, ambisce a renderla operante attraverso la forzata atomizzazione degli uomini, ridotti ad arbitri disillusi della propria anonima e disperante follia.
Non è inutile notare, a titolo esemplificativo, che i professionisti della disinformazione si sarebbero ben guardati dal segnalare pochi mesi or sono il dolente caso della ventenne che si è sbarazzata dei propri figli appena nati sotterrandoli in giardino, se costei avesse deciso di ricorrere all’aborto, incivilmente protetto e garantito dalla torbida legalità democratica.
La ricostruzione ossessiva delle dinamiche dei delitti, la descrizione particolareggiata (e, si direbbe, compiaciuta), della violenza che vi si dispiega, lasciano scorgere, dietro l’apparente oggettività dei resoconti cronachistici, una qualche giustificazione del loro cupo retroterra antropologico: la sconsacrazione ateistica della vita e la frammentazione della realtà in una serie di finzioni, vantaggiosamente commerciabili negli spacci del sordido totalitarismo liberale.
di Paolo Rizza