Lo scorso 21 aprile terminava la vicenda terrena di Jorge Maria Bergoglio e il governo italiano dichiarava 5 giorni di lutto nazionale, con termine, quindi, il 26 aprile, giorno dei funerali.
Peccato che, in quei 5 giorni di lutto, sia caduto anche il 25 aprile, per di più nell’80esimo anniversario della cosiddetta “liberazione” -con 114 basi americane sparse sul suolo italico ci vuole una certa disinvoltura a non chiamarla “occupazione” -, per cui erano previsti grandi festeggiamenti.
L’immediata reazione di alcuni dell’opposizione è stata quella di gridare al complotto contro la sacra – per loro – festa partigiana. I 5 giorni sono sembrati troppi e scelti apposta per inglobare la festa del 25. Senonché, a titolo di esempio, anche il Brasile guidato dal comunista Lula ha indetto un lutto nazionale di 5 giorni, mentre 7 ne sono stati proclamati in Argentina, patria di Bergoglio.
Così la sinistra ha dovuto masticare amaro, non potendo inveire contro il defunto pontefice che ha avuto l’ardire di defungere proprio in quei giorni, rovinando le celebrazioni. Anche perché quel pontefice è stato spesso osannato proprio dalla sinistra per le sue posizioni pro-migranti. Molto meno per quelle antiabortiste e per quelle sulla “frociaggine”, ma questi sono dettagli che non conveniva ricordare. A tutto però c’è un limite, ed ecco che gli antifascistissimi si sono affrettati a chiarire che il 25 aprile avrebbero comunque festeggiato.
Sobrietà!
Che diamine, 80 anni sono cifra tonda, ci vuole la pompa magna! E festa sia, allora. Considerato il concomitante lutto nazionale, il ministro Musumeci ha invocato, almeno, “sobrietà” nelle celebrazioni. Apriti cielo!
Attentato contro il 25 aprile! Da Fratoianni a Giannini dalla Schlein a Padellaro, è stato tutto uno stracciarsi le vesti domandandosi cosa si dovesse intendere con “sobrietà”. E ci hanno pensato gli stessi antifascisti a chiarire il concetto, addirittura con un giorno di anticipo, a Torino, dove centri sociali e collettivi hanno dato un saggio di cosa per loro rappresenti questa data: un’imperdibile occasione per scatenare tafferugli, disordini, violenze, assalti contro le forze dell’ordine, vandalismi.
Un delizioso antipasto di quello che, puntuale come una cambiale, sarebbe avvenuto il giorno dopo a Milano, con gli ormai tradizionali scambi di insulti, fischi e minacce tra alcuni gruppi di manifestanti e la Brigata Ebraica. Più che gli appelli alla “sobrietà” è stato il massiccio spiegamento delle forze dell’ordine ad evitare che, almeno per quest’anno, la cosa non andasse oltre.
La festa che unisce?
La “festa che unisce gli italiani” non riesce ad unire nemmeno gli antifascisti, come abbiamo già ricordato in passato. Insomma, ormai sono passati 80 anni, persino un antifascista sfegatato come Aldo Cazzullo, intervistato dal non meno antifascista Augias, ha dovuto ammettere, sia pure con toni, termini e argomenti che non possiamo condividere, che la “guerra della memoria” gli antifascisti l’hanno persa, che la maggior parte degli italiani non ha un’opinione negativa del fascismo.
Nonostante 80 anni di propaganda martellante tipica di un regime, messa in atto fin dalle scuole elementari, aggiungiamo noi. È un’ammissione di fallimento che non può essere ignorata. Per quanto ancora si vorrà spargere veleno contro quella parte di italiani che non aderisce alla vulgata resistenziale, al falso mito della “parte giusta”, al malcelato compiacimento per l’orrore di Piazzale Loreto?
Uno scherzo del destino, o forse un disegno divino, ha fatto sì che quest’anno il 25 aprile fosse giornata di lutto nazionale, come in tanti auspicavano. Riflettiamo sul senso di questa coincidenza, beffarda o provvidenziale che sia, per pensare ad una festa che non sia di una sola parte, sempre più piccola e sempre più livorosa, di italiani. Lasciamo che questa data sia, semplicemente, la festa di San Marco.
Basta odio tra italiani.
Raffaele Amato
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