È nota fin dall’antica Grecia la singolare congenialità del relativismo alla democrazia; la loro stretta parentela, generatrice degli effetti eticamente più nefasti, non è limitata alla pura enunciazione teorica dei contro-principi da essi condivisi, ma si estende coerentemente dai vari ambiti della vita personale e associativa.
La democrazia, a torto ritenuta come il presidio più consistente e duraturo della libertà, ne conculca (in ragione del suo congenito egualitarismo) il carattere essenzialmente spirituale, garantito dalla cosciente appartenenza dell’uomo a un ordine metafisico anteriore alle strutture sociali e superiore alle divergenti opinioni dei loro membri.
Conferendo al numero dei suffragi popolari o assembleari la funzione di determinare la bontà dei contenuti attinenti al destino delle comunità umane, il sistema democratico assoggetta arbitrariamente le esigenze della giustizia alle reazioni umorali delle osannate maggioranze; ad un giudizio libero dai pretesti di una comoda e usurata demagogia, esse si piegano senza alcuna remora agli astuti ammiccamenti delle oligarchie, che le dirigono per sollecitarne la fiduciosa e pronta obbedienza ai dettami della sovversione massonica.
I domini della società e della politica appaiono dislocati dal loro compito specifico di proporsi quali strumenti attuativi del bene comune.
La prevalenza e la conflittualità degli interessi individuali, divenuti misura della condotta dei singoli e delle fazioni, favorisce l’estensione incontrollata dei poteri finanziari, che disarticolano e dissolvono a proprio vantaggio le diverse realtà nazionali.
Il 25 aprile
La presente decadenza, compiacendosi di sfoggiare le mascherine variopinte degli inganni moderni, è candidamente velata dai toni incensatori che gli eredi più o meno ufficiali dell’antifascismo tributano con inalterata monotonia alla sedicente epopea resistenziale in occasione del 25 aprile.
L’enfasi celebrativa che accompagna tale ricorrenza, lungi dall’ eludere la consapevolezza delle tare di un sistema asservito ai nemici di Dio e dell’uomo, lascia risaltare nitidamente affiggente vuotezza di un copione, cui è obbligato a rendere omaggio chiunque voglia premunirsi dai temibili e disonoranti ostracismi della virtuosa democrazia parlamentare.
La pittoresca sceneggiata, riproposta nel corso di lunghi anni senza apprezzabili variazioni, contempla la dolente rievocazione di un Italia che avrebbe rassegnatamente subito il giogo ventennale di una ottusa tirannide, dalla quale, per iniziativa di intrepidi partigiani e di generose armate straniere, sarebbe stato liberato al termine di una guerra riconducibile al suo cinico imperialismo.
È facile comprendere come quanti sono debitori delle loro cospicue fortune politiche alla tenace damnatio memoriae dei vinti ,non possano tollerare che le loro sbandierate certezze siano scalfite dalle inopportune insinuazioni del dubbio e della critica. Pur tuttavia, onde fugare i fondati sospetti sulla fantasiosita’ di pretese ricostruzioni dettate da intenti faziosamente polemici, costoro dovrebbero chiedersi (e possibilmente chiarire) per quali recondite ragioni il consenso riscosso dalla deprecata tirannide non trovi alcun riscontro nel clima depresso e deprimente dell’attuale regime di libertà.
Propaganda neo liberatoria
Ma essi respingono ogni obiezione capace di smentire le loro apodittiche asserzioni e di accertare la tendenziosità di una “storia” appresa alla luce abbagliante dei pregiudizi di marca democratica e giacobina; e, soddisfatti di un Italia vegetante in una prolungata condizione coloniale, perseverano nella sacralizzazione dei presunti “valori”resistenziali, intesi a cancellarne la tradizione religiosa e a privarla della sua forza civilmente costruttiva, violata da inquinanti contraffazioni neo-modernistiche nonché dalle interessate strumentalizzazioni di un risorgente e diffuso ateismo “clericale” .
La dissimulazione della sconfitta del 1945, ad opera della fraudolenta propaganda post-liberatoria, è oggi rinverdita dal risibile cicaleccio con cui la destra e la sinistra, gareggiando in spirito di edificante emulazione nell’esibire sollecitamente i propri attestati di antifascismo, occultano la resa della politica allo strapotere finanziario e al suo atavico “odio delle altezze”.
Tale risultato, conseguente all’assenza di uno Stato autorevole e alla graduale propagazione delle mode corruttrici di un occidentalismo estraneo alla civiltà europea, dimostra la potenza dissolutoria connaturale al trionfante totalitarismo democratico, realizzato a prezzo del completo svuotamento dell’ideali inconciliabili con la sua bassezza.
Se ciò corrisponde ai tracciati evolutivi di un “progresso” recalcitrante ad ogni verifica o controprova, non meraviglia che i democratici assistano, ora compiaciuti, ora indifferenti, alla rilevanza di fenomeni dissolutori quali il drammatico sfacelo della famiglia tradizionale, il dilagare della cosiddetta immigrazione e alla precoce imposizione dell’ideologia “gender”.
Legalità democratica
La caratterizzazione positiva accordata ai segnali di un disordine accuratamente nascosto dietro le apprezzate parvenze della legalità democratica, sottende la denigrazione dei valori posti a fondamento dell’”azione rivoluzionaria del Fascismo” che, giusta le parole di Arnaldo Mussolini, perseguiva “ la solidità della famiglia, la serenità della scuola; la religione come tessuto spirituale, la Patria come mondo ideale e reale”.
Il 25 aprile, promuovendo la diserzione dell’Italia dal dovere di attingere alle pure sorgenti del suo patrimonio spirituale, è la premessa logica e storica del disfacimento che la travaglia in questi anni, costringendola a recitare il ruolo umiliante di provincia declassata del mondialismo plutocratico.
Sarebbe vano opporsi alla deriva in atto in base a strategie di tipo esclusivamente politico: per affrontarla validamente, è necessario prendere coscienza della sua radice spirituale e, attraverso la quotidiana sequela Christi, combattere con lo stile legionario che, nelle secolari vicissitudini della storia, ha animato l’audacia dei cavalieri della tradizione.
di Paolo Rizza
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