Riceviamo da Gianni Alemanno e pubblichiamo nel rispetto delle norme dell’Ordinamento.
Intervista a cura di Sergio Saraceni.
Gianni Alemanno è della classe 1958, militante politico di lungo corso, giornalista pubblicista da svariati anni, promotore del Comitato Fermare la guerra, segretario nazionale del Movimento Indipendenza, ex segretario nazionale del Fronte della Gioventù (l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano) ma anche due volte ministro e una volta sindaco di Roma nonché eletto per cinque volte deputato nel corso degli anni novanta e duemila.
Attivo da decenni contro la pena di morte (in controtendenza con il Msi), come per il miglioramento della qualità della vita nelle carceri – avendo provato in prima persona la carcerazione negli anni ottanta -.
Attualmente è recluso nel carcere di Rebibbia per i motivi che chiederemo a lui stesso di spiegarci.
Non avendo potuto incontrare di persona il detenuto siamo stati costretti a ricorrere al servizio di email del carcere, al quale Gianni Alemanno ha gentilmente risposto:
Onorevole Alemanno, ci spieghi perché lei è in carcere. Se ne sono sentite e lette molte di cose sul suo conto ma noi vogliamo sapere da Lei come stanno i fatti.
Sono in carcere per due motivi distinti. Il primo è quello penale che discende dall’inchiesta “Mondo di Mezzo”, soprannominata “Mafia Capitale”, ovvero quell’inchiesta che per alcuni anni ha diffamato Roma presentandola al Mondo come una città mafiosa.
Poi, grazie alla Cassazione, tutto si è sgonfiato e da un’inchiesta mafiosa siamo passati ad una modesta vicenda di corruzione, non per grandi affari urbanistici (come sta accadendo oggi a Milano) ma per appalti “straccioni” di cooperative sociali.
Cosi, dal 2014 a oggi, io sono passato dall’accusa di associazione mafiosa a quella di corruzione, fino ad arrivare solo ad una banale condanna definitiva a un anno e 10 mesi per “traffico d’influenze”. Qual è stato il mio “traffico”?
Quello di aver fatto pagare subito dalle aziende municipalizzate alle cooperative sociali dei debiti, accertati e messi in pagamento da anni. Con questa condanna sono stato messo in affidamento in prova con l’obbligo di rimanere dentro i confini della Regione Lazio, salvo viaggi di lavoro autorizzati.
Ebbene, e questo è il secondo motivo per cui sono qui, io ho cercato di conciliare questi viaggi di lavoro con manifestazioni politiche a cui dovevo partecipare come Segretario nazionale del Movimento Indipendenza.
Per questo mi è stato revocato dal magistrato di sorveglianza l’affidamento in prova e quindi ho dovuto ricominciare a scontare daccapo tutta la condanna in carcere. Mi sembra tutto veramente sopra le righe e francamente ingiusto.
Onorevole, come sta vivendo, umanamente e spiritualmente, questa esperienza di detenzione? Cosa l’ha colpita di più entrando in carcere?
Questa esperienza la sto vivendo bene, perché sono abituato a regimi di vita duri e sfidanti. Sono un vecchio alpinista abituato alle lunghe permanenze nei “campi base” himalayani e un uomo religioso dedito ai duri ritiri dettati da antiche tradizione spirituali.
Anche il carcere ha una forte valenza di esperienza comunitaria e si vivono intense esperienze di amicizia, fratellanza e anche lotta comune. Perché ci sono anche aspetti inaccettabili del carcere contro cui ho cominciato a lottare insieme a Fabio Falbo, un detenuto di lungo corso che si è laureato in carcere in Giurisprudenza e grazie a queste conoscenze si è dedicato da sempre a difendere i diritti delle persone detenute.
Qui c’è troppo sovraffollamento, degrado e condizioni inumane di vita, a fronte di percorsi sempre più difficili per la “rieducazione” del condannato. Insomma, ci stiamo battendo per la dignità e i diritti delle persone che, spesso ingiustamente, si ritrovano nel carcere.
Lei è stato condannato per un reato che ha sempre respinto. Ritiene di essere vittima di una giustizia politicizzata? Cosa rappresenta il suo caso nel contesto della magistratura italiana?
Nel mio caso c’è sia politicizzazione che inadeguatezza umana da parte di molti magistrati. Politicizzazione perché basta scorrere le vicende della fallimentare inchiesta di”Mafia capitale” per comprendere che gli esponenti di destra sono stati trattati molto peggio di quelli di sinistra inquisiti per le stesse vicende.
Ma c’è anche inadeguatezza umana, perché sia nell’operato dei PM che in quello dei tribunali, ho visto molta voglia di farsi pubblicità dando segnali di “vendetta sociale”, una voglia di protagonismo che ha reso superficiale, sbrigativa e giustizialista tutta la mia vicenda giudiziaria.
Per fortuna ho trovato anche degli ottimi giudici in Cassazione che mi hanno reso buona parte della giustizia che ho atteso per quasi dieci anni.
Ha denunciato pubblicamente le condizioni disumane del carcere di Rebibbia, in particolare con l’arrivo del caldo estivo. Può raccontarci la situazione reale che vivono i detenuti oggi?
Ho detto che le persone detenute vivono una condizione a metà strada tra il campeggio e la caverna, non solo qui a Rebibbia ma in quasi tutti le carceri italiane.
Pensate a Regina Coeli, un carcere che risale all’800. Le persone detenute devono ogni giorno inventarsi marchingegni artigianali per tentare di sopravvivere tra mille disagi e umilianti torture. Viviamo in 6 persone in celle che ne dovrebbero contenere 4, abbiamo un tazza del wc nello stesso sgabuzzino in cui dobbiamo cucinare, siamo circondati da divieti senza senso che ci impediscono di acquistare anche semplici oggetti come un filo interdentale o una pennetta per archiviare i file del computer.
Con l’arrivo del caldo tutto questo viene peggiorato, per l’assenza di impianti di condizionamento, salvo rudimentali ventilatori da tavolo, di frigoriferi e per un’edilizia antiquata che produce temperature interne veramente impressionanti.
Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte condannato l’Italia per queste condizioni disumane di detenzione, definite come “tortura”.
Il sistema penitenziario italiano è in profonda crisi: sovraffollamento, violenza, mancanza di strutture dignitose. Cosa dovrebbe fare lo Stato, concretamente, per rendere il carcere un luogo davvero rieducativo e non disumano?
Innanzitutto ridurre subito il sovraffollamento, perché in queste condizioni qualsiasi altra buona intenzione è impossibile da mettere in pratica.
Non con il “piano carceri” che il Ministro Nordio dall’inizio di questa legislatura, continua a rivendersi e che è fatto solo di misure inutili o irrealizzabili Ridurre il sovraffollamento con la costruzione di nuove carceri è come mettere una tartaruga a inseguire una lepre.
La costruzione di carceri è una vicenda lunga e complessa, anche se si pensa di montare dei prefabbricati più adeguati ad allevare polli che a detenere persone.
Mentre il numero delle persone detenute è in costante aumento, per i nuovi reati e l’aumento di pene che vengono previsti in ogni nuova legge sfornata da Governo e Parlamento e anche perché le pene alternative vengono concesse con parsimonia e lentezza estenuanti dai Tribunali di sorveglianza.
Riducendo con una legge specifica (indulto o liberazione anticipata speciale) il sovraffollamento, si può tentare di riformare tutto il sistema, aumentando il ricorso alle pene alternative (come si fa in tutta Europa), ammettendo al lavoro la maggior parte dei detenuti (che rappresenterebbero anche una fonte di reddito per l’amministrazione penitenziaria) e costruendo quindi veri percorsi di rieducazione e reinserimento.
In questo modo il carcere non è più un girone infernale in cui far languire le persone, ma uno strumento per rieducare ed abbattere la recidiva. Così si aiuta a tutelare la sicurezza del cittadino e si garantisce la sicurezza dell’efficacia della pena, senza sovraffollare inutilmente gli istituti di pena.
Nei mesi precedenti al suo arresto, ha svolto attività sociali e politiche con passione e continuità. Come ha vissuto la revoca dei domiciliari e il ritorno in carcere?
Con sorpresa e rammarico all’inizio, con pazienza e coraggio subito dopo. Un motto che mi è stato insegnato è “combattere è un destino”, si può rimanere in piedi e combattere in mezzo alla società o anche all’interno di un carcere.
L’importante è stare sempre alla parte della dignità della persona umana e delle speranze di riscatto del nostro popolo.
Secondo lei, è ancora possibile in Italia difendere la propria dignità politica quando si è colpiti da una sentenza controversa? Quanto pesa oggi l’accusa mediatica rispetto a quella giudiziaria?
Si, è possibile, anche se è molto difficile. Le battaglie che sto conducendo e la solidarietà trasversale che mi arriva da quasi tutte le parti politiche, mi hanno aiutato a difendere la mia dignità umana e politica.
Ma ci sono molte persone che non hanno questi mezzi e vengono travolte da una giustizia sommaria e da un’informazione superficiale. Per queste persone cercherò di battermi non solo dentro il carcere ma anche domani quando sarò libero.
Lei ha sempre difeso valori patriottici, identitari e spirituali. In che modo questa visione del mondo la sostiene oggi, anche in un contesto di sofferenza come quello carcerario?
Questi valori si devono applicare a tutte le persone umane e a tutte le comunità a cui queste persone appartengono. Quindi valgono anche per “gli ultimi della terra” che sono le persone detenute. c’è molta comunità e molto popolo qui dentro le carceri, il valore della cittadinanza italiana deve essere riaffermato proprio cominciando da questi contesti.
E io spero che anche gli altri cittadini, quelli che non hanno mai avuto l’avventura di fine in un carcere, comincino a capire che qui non ci sono solo pericolosi criminali (ci sono anche quelli), ma ci sono soprattutto persone normali che hanno sbagliato o che sono state vittime della malagiustizia.
Ha lanciato un appello alla politica perché visiti le carceri e si faccia carico delle condizioni dei detenuti. Ha ricevuto risposte concrete? Cosa si aspetta dalle istituzioni e nonostante tutto, continua a credere nell’impegno pubblico?
Molti parlamentati e anche qualche uomo di governo sono venuti a farmi visita, a cominciare al Presidente del Senato Ignazio La Russa e al Presidente della Camera, Lorenzo Fontana.
Devo dire che solo pochi hanno dato seguito a queste visite con un impegno per affrontare l’emergenza carceraria. Spiccano tra questi La Russa, Giachetti e Casini che si sono impegnati a trovare una legge che possa ridurre effettivamente il sovraffollamento.
D’altra parte anche il Presidente Mattarella ha fatto dei richiami molto importanti in questo senso. Fino ad ora è rimasto indietro il Governo, soprattutto per la mancanza di consapevolezza del Ministro Nordio. Spero che alla fine si trovi una soluzione condivisa non è pensabile andare avanti così.
Qual è il messaggio che vorrebbe trasmettere a chi, come lei, crede ancora nella battaglia per una Nazione Sovrana e indipendente dalla dittatura dell’UE e della Nato?
Il fallimento di Ursula Von der Leyen nelle trattative sui dazi con il Presidente Trump, dimostra che l’Unione europea non tutela affatto gli interessi dei popoli europei.
E la pretesa di imporre una spesa militare pari al 5% del Pil, per comprare armi dagli americani e regalarle a Zelensky, è la dimostrazione che la NATO non serve a difenderci da aggressioni militari ma ad incastrarci sempre più in guerre sbagliate e perdenti.
Non c’è nessun futuro per l’Italia se rimarremo sudditi di queste sovrastrutture transnazionali, dobbiamo recuperare la nostra sovranità nazionale (che è anche la nostra sovranità popolare e democratica) per ricostruire da zero nuove forma di solidarietà politica e difesa comune in Europa e nel Mediterraneo
Il Movimento di Indipendenza, nonostante la sua carcerazione, sta portando avanti le proprie attività sul territorio nazionale. Ma lei crede che l’unione di più soggetti e personalità del dissenso possa avere voce in capitolo nella politica italiana?
Si, ma a patto che non sia un “fritto misto” privo d’identità politica. Indipendenza è un movimento sovranista che viene dalla destra sociale e con questo messaggio deve attrarre militanti ed elettori stanchi della politica liberale e conservatrice del Governo Meloni.
Al di là del protagonismo di Giorgia Meloni, le promesse elettorali del centrodestra non sono state mantenute: non ci siamo liberati dall’immigrazione di massa, non sono state abbassate le tasse, non è stata rilanciata l’economia e aumenta solo il lavoro povero. Questo accade soprattutto perché il Governo continua a sprecare un mare di risorse per seguire i diktat europei e atlantici.
La grande fortuna del centrodestra è quella di avere di fronte una sinistra che sostiene cose fuori dal mondo e dalla realtà: più immigrazione, più Europa, più tasse e più follie progressiste.
Noi vogliamo finalmente costruire una vera alternativa, che contribuisca a battere la sinistra progressista, ma che costringa questo governo a cambiare rotta e fare veramente gli interessi del popolo italiano.
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15 anni da innocente in parte condivido ma sta bilancia è sempre da quando la abbattuto berlusconi sempre da una parte e dalla parte sbagliata e pochi grandi che devono andarci e restarci sono fuori a comandare