Itangliano, addio Dante – L’unica speranza di preservare in un prossimo futuro la lingua italiana, purtroppo, sarà quello di una condizione di reale bilinguismo.
In un mondo in cui le future generazioni di italiani saranno in grado di muovere con facilità dalla loro lingua nativa all’inglese, difatti, ognuna delle due lingue sarà forse in grado di preservare la propria autonomia.
Itangliano, itanglese, itanglish
D’altra parte, l’influenza dell’inglese è già troppo forte per essere contenuta semplicemente rifiutandosi di utilizzare anglicismi.
Secondo l’enciclopedia Treccani (qui), il termine itangliano – e i suoi derivati itanglese e itanglish – è stato coniato per indicare quella tipologia di italiano fortemente influenzata dall’inglese, in particolare a causa dell’alta presenza di anglicismi ed elementi propri della grammatica inglese quali suffissi e prefissi.
Un’ibridazione che arriva da lontano
Secondo alcuni studiosi, la relazione tra italiano e inglese ha origine tra il XIII e il XIV secolo, quando i mercanti italiani che commerciavano con gli inglesi cominciarono a usare la loro stessa lingua. Negli anni successivi, altri termini di origine britannica entrarono nell’italiano in relazione al linguaggio della politica e poi, con la rivoluzione industriale, dei nuovi prodotti, mezzi di trasporto, sport, cibo e abbigliamento che si diffondevano in Gran Bretagna.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti divennero emblema di libertà e di un nuovo stile di vita affascinante soprattutto per giovani e classi operaie, attirando forti ondate che vide l’inglese soppiantare il francese come lingua più popolare.
L’argine dell’Accademia d’Italia
Purtroppo, sul versante politico, a parte il tentativo purista dell’Accademia d’Italia nel 1940 ove indicare alla popolazione e ai mezzi di comunicazione una lista di traduzioni italiane da usare in sostituzione dei termini stranieri, che apparve come un’azione isolata, la quale non ebbe, purtroppo, per altro particolari conseguenze sull’uso degli inglesismi, nulla è stato fatto a difesa della nostra lingua.
Dopo il secondo conflitto mondiale e durante gli anni Settanta, la conoscenza della lingua inglese si diffuse tra le élite, cominciando ad essere percepita come una marca di prestigio sociale e divenendo presto simbolo di mobilità per le classi operaie.
Negli ultimi decenni, infine, gli anglicismi sono entrati nell’italiano specialmente nell’ambito del linguaggio tecnico, attraverso l’acquisizione di tecnologia di produzione statunitense e l’uso del gergo legato al mondo di Internet.
L’intangliano provincialotto
Molti linguisti hanno provato a spiegare le ragioni dietro il successo dell’inglese in Italia: per un verso, alcuni sottolineano l’importanza della cultura e dello stile di vita connesso con la lingua; altri invece danno maggiore importanza alla struttura linguistica.
Alcuni studiosi son poi concordi nella gratificazione che deriva dall’utilizzo di termini stranieri, piuttosto che al suo effettivo contenuto linguistico, non da meno dietro il successo dell’inglese vi è la sua semplicità a livello sintattico composto di sostantivi efficaci e locuzioni piuttosto brevi.
Ciò che va fatto è quello di un segnale potente, forte e di una volontà generale di conservazione dell’italiano dall’inevitabile internazionalizzazione linguistica. Ce bisogno uno sforzo di tutti, l’impronta a ciò, come sempre, la deve dare la politica, anche se, quest’ultima, è sempre indifferente quando deve rispondere ad alcuni, giusti, richiami, specialmente delle nuove generazioni affinché questo avvenga, non solo in nome di una qualche politica purista, ma soprattutto come reazione al fenomeno di pigrizia linguistica che ha caratterizzato la società italiana durante gli ultimi decenni.
Senza una politica attenta a questo fenomeno ed a un incisivo cambio di passo del sistema di istruzione il destino sarà quello di mandare in soffitta la lingua di Dante per fare posto all’itangliano
Paolo Ornaghi
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