Ancora una volta abbiamo assistito allo spettacolo grottesco della cosiddetta flotilla per Gaza, presentata dalla sinistra come un’impresa umanitaria e trasformata invece nell’ennesimo teatrino politico.
I fatti sono semplici: le imbarcazioni sono state intercettate da Israele, i membri a bordo sono stati arrestati, e il risultato finale è stato zero aiuti umanitari consegnati alla popolazione di Gaza. La tanto sbandierata “missione umanitaria” si è conclusa in un nulla di fatto, ma intanto in Italia si sono accese piazze e cortei, con disordini, danni e disagi per cittadini che nulla c’entrano con la vicenda.
È evidente che la flottiglia non era altro che un pretesto il cui esito era scontato fin dall’inizio: la sinistra ha colto l’occasione per riversare la propria rabbia ideologica nelle strade.
E non lo ha fatto in autonomia: oggi appare ostaggio dei centri sociali e dei gruppi estremisti, che dettano l’agenda della piazza e impongono la loro logica di scontro permanente.
Non si tratta di difendere idee o popoli lontani: si tratta di mantenere vivo un circuito di tensione, fatto di cortei, blocchi stradali, stazioni occupate e città paralizzate.
Solo danni e disagi
Sono azioni che non producono alcun beneficio concreto, ma generano soltanto danni e disagi. Il problema non è tanto l’esistenza di questi gruppi, che da sempre campano di protesta sterile: il problema è che la sinistra politica non li condanna, non li isola, ma li tollera e spesso li blandisce, sperando di trarne vantaggi elettorali.
È una forma di sudditanza che svilisce ogni pretesa di serietà politica: invece di proporre soluzioni (perchè la flotilla poteva essere considerata una soluzione solo nei romanzi di Salgari), ci si accoda a chi urla più forte, a chi scambia la militanza per vandalismo e la protesta per spettacolo permanente. Intanto, l’indignazione resta selettiva.
Per Gaza si incendiano piazze e bandiere, ma per lo Yemen — dove muore un bambino ogni sei minuti — nessuno apre bocca. E per le stragi in Africa, dove interi villaggi vengono spazzati via, silenzio totale.
Perché? Perché quelle guerre non servono a colpire Giorgia Meloni, che per la sinistra è diventata il nemico da abbattere con ogni pretesto.
E poiché Meloni viene accusata di essere vicina a Trump, ecco che tutto diventa un modo per attaccarla, in un assurdo gioco di “proprietà transitiva” politica. In fondo, la sinistra si comporta sempre allo stesso modo: non avendo mai fatto nulla di concreto per nessuno, se non per se stessa, deve buttarla in caciara, trasformare ogni occasione in caos e slogan. E mentre loro si piegano alla logica dei centri sociali, c’è chi, al contrario, cerca soluzioni concrete, attraverso il diritto e la diplomazia.
Certo, il governo Meloni non è esente da colpe, ma almeno agisce. Spesso lo fa lontano dai riflettori, fuori dal cono di luce mediatico, per portare a casa risultati reali a beneficio della popolazione.
La flotilla di slogan e strumentalizzazione
La verità è che la flotilla non ha portato pane, acqua o medicine a chi soffre: ha portato solo slogan e caos.
Ha alimentato un circuito vizioso in cui il dolore di un popolo lontano viene ridotto a strumento di battaglia interna, a combustibile per accendere piazze italiane che finiscono sempre per bruciare auto, negozi e quartieri dei nostri concittadini. Questa non è solidarietà.
È pura strumentalizzazione.
È il tentativo disperato di una sinistra senza idee di ritagliarsi spazio politico sulla pelle degli altri, cercando sempre il capro espiatorio: Israele, Meloni, Trump, chiunque.
Ma la gente, quella che lavora davvero e che non ha tempo da perdere, ha ormai capito il gioco.
Gianluca Mingardi
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