Martedì 23 settembre, poco dopo la fine del suo discorso presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Presidente americano Donald Trump ha pubblicato un messaggio sui social, che alcuni osservatori hanno preso come estremamente sarcastico, nello stile del Tycoon.
Invece, molti altri, forse meno perspicaci, hanno l’hanno preso alla lettera, un po’ per comodità, un po’ per una grottesca forma di auto-rassicurazione di fronte a paradigmi cambiati tra gli USA di The Donald e i Paesi europei.
Il Presidente scrisse che «dopo aver conosciuto e compreso appieno la situazione militare ed economica dell’Ucraina e della Russia e dopo aver visto i problemi economici che sta causando alla Russia, penso che l’Ucraina, con il sostegno dell’Unione Europea, sia in grado di combattere e riconquistare tutta l’Ucraina nella sua forma originale».
Questa battuta significa che l’America non sente come propria questa guerra e se ne tira fuori, lasciando alla Ue, che ha dimostrato tutta la sua “potenza” in questi tre anni e mezzo di guerra ed ha talmente messo in ginocchio, con i soli suoi armamenti e la politica delle sanzioni l’economia russa, che potrà sconfiggere Putin da sola…
Chi ha colto la sagace e pungente ironia si è precipitato a dire che il proprio Paese non è pronto ad una guerra contro il grande orso della steppa. Oppure ha tranquillizzato la popolazione, garantendo che nessun soldato, né coscritto sarà mandato in missione per questo conflitto.
Il Presidente americano ha anche fatto riferimento ad una recente situazione che si è verificata nella Federazione russa: «lunghe code che rendono impossibile fare benzina», così «tutti i soldi dei cittadini vengono spesi nella guerra contro l’Ucraina».
Il portavoce del Presidente russo, Dmitri Peskov, ha risposto che «la Russia mantiene la sua resilienza e la sua stabilità macroeconomica».
Il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Dmitri Medvedev, ha accusato Trump di «vagare in una realtà alternativa», in cui c’è «la vittoria definitiva di Kiev, il ritorno ai confini precedenti, l’economia militare fallimentare della Russia, le code per la benzina e le ‘tigri di carta’».
La riduzione della produzione di benzina è di circa il 10%, a causa di manutenzioni programmate e soprattutto degli attacchi dei droni ucraini negli impianti di raffinazione.
Secondo il quotidiano russo Kommersant, la produzione media giornaliera di benzina a gennaio è stata di 123.600 tonnellate, nei primi 19 giorni di agosto è stata di 102.200 tonnellate e nella prima metà di settembre è stata di 110-112 mila tonnellate.
Dati che difficilmente sono sconosciuti a Trump, che usa la provocazione verso la UE, attraverso un argomento vero ma volutamente amplificato per sfottere l’incapacità dei vertici di Bruxelles di cogliere anche le minime debolezze dell’avversario.
Insomma, la Russia mantiene il suo orgoglio di Stato sovrano ed austero, replicando al Presidente Trump con argomenti che certamente egli conosce perfettamente, almeno dal famoso colloquio in Alaska.
Questa dialettica, fatta di sarcasmo e sfiducia degli USA verso la Ue di Von der Leyen, con piccata replica dei luogotenenti di Putin, mantiene alta l’attenzione e fa comprendere ove realmente stiano i problemi, ovvero nelle scellerate decisioni di Bruxelles, probabilmente sin dall’espansionismo ad est, iniziato nel 2014, che ha drasticamente sottovalutato la forza russa.
Lo stato dell’economia russa
L’analisi dei principali indicatori macroeconomici russi per il 2025 rivela un’economia che mostra, una crescita del Pil, con un’inflazione alta ma in diminuzione.
Perciò la Russia è molto più in salute rispetto alla maggior parte dei Paesi occidentali.
Il Ministero dell’Economia russo ha rivisto le previsioni di crescita per il 2025 attestandole ad un +1,5%, mentre i dati trimestrali confermano una crescita dell’1,4% nel primo trimestre e dell’1,1% nel secondo.
Nel 2025 l’inflazione è scesa, raggiungendo l’8,1% in agosto, pur rimanendo al di sopra del target del 4% fissato dalla Banca Centrale.
Il Ministero dell’Economia ha rivisto al ribasso le previsioni inflazionistiche per la fine del 2025 al 6,8%, rispetto al 7,6% previsto ad aprile, mentre si attende il ritorno al target del 4% tra pochi mesi, nel 2026.
Il deficit di bilancio federale ha raggiunto i 4,19 trilioni di rubli (42,7 miliardi di euro) nei primi otto mesi del 2025, pari all’1,9% del Pil. Le proiezioni per il 2025 indicano un deficit al 2,6% del Pil.
Il debito pubblico russo rimane molto contenuto, attestandosi al 16,4% del Pil nel 2024, uno dei livelli più bassi tra le economie sviluppate, seppur con previsioni di incremento al 19% nel 2025.
Per confronto, nel 2024 il deficit di bilancio dei più importanti Paesi europei, come Germania, Francia, Italia e Polonia, è stato rispettivamente del -2,8%, -5,8%, -3,4% e -6,6%.
Nel 2025, la spesa per la difesa nazionale è stata di 13,5 trilioni di rubli (137 miliardi di euro), pari a circa il 6,9% del Pil, registrando la quota più elevata dalla fine della Guerra Fredda.
Il budget militare per il 2026 è previsto in leggera diminuzione, a 12,6 trilioni di rubli (128 miliardi di euro) garantendo una copertura più che tranquillizzante per Vladimir Putin.
Il governo russo ha aumentato l’IVA dal 20% al 22% a partire dal 1° gennaio 2026. Da noi, è già stato fatto da anni e senza spese di guerra. Questa decisione dovrebbe generare circa 1 trilione di rubli aggiuntivi annualmente (10 miliardi di euro).
L’aliquota agevolata del 10% per i beni di prima necessità, come cibo, medicinali e prodotti per l’infanzia rimarrà invariata, seguendo le politiche di welfare a favore di famiglie, natalità e impresa, tipiche dell’azione di Putin.
Il Ministero dell’Economia russo indica una crescita del Pil all’1,3% nel 2026, seguita da una graduale accelerazione al 2,8% nel 2027.
Tuttavia, questa ripresa dipende criticamente dalla normalizzazione della politica monetaria (ovvero dall’abbassamento dei tassi d’interesse), a sua volta subordinata al rallentamento dell’inflazione.
Si è presentata da poco l’introduzione di sanzioni secondarie da parte degli Stati Uniti e dell’Europa. L’applicazione di tariffe elevate da parte di Washington e Bruxelles sui beni provenienti da Paesi che continuano ad acquistare petrolio russo vuole indurre i principali partner commerciali di Mosca a riconsiderare i propri rapporti con il Cremlino.
La Cina, che è diventata il principale importatore di petrolio russo, con acquisti record nel 2023, e l’India, che ha aumentato le proprie importazioni di petrolio russo di 19 volte dal 2021 al 2024, rappresentano mercati cruciali per le entrate energetiche russe (circa un quarto delle entrate totali). Al momento, però, la partnership della Russia con India e Cina sembrerebbe essere alquanto solida e ben valutata all’interno dell’organizzazione BRICS.
Inoltre, l’implementazione delle sanzioni comporta ulteriori costi significativi per l’Occidente. L’imposizione di tariffe sui prodotti cinesi e indiani potrebbe provocare un’escalation delle tensioni commerciali, aumentare i prezzi dell’energia e l’inflazione nei Paesi europei, come già abbiamo visto chiaramente sin dalle prime sanzioni, che, in ultima analisi abbiamo pagato noi.
“Al momento, dunque, le affermazioni di Peskov in merito alla «resilienza» e alla «relativa stabilità macroeconomica» sembrano confermate” – secondo la rivista di geopolitica Aliseo, dimostrando con i dati fattuali che le previsioni nefaste per l’economia russa sono solamente propaganda, che proroga la stagnazione delle decisioni importanti e aumenta lo stato confusionale in cui si trova la UE, derisa da Trump e costretta a cercare nuovi equilibri transatlantici per non soccombere.
Questo vicolo cieco, in cui la Commissione europea a maggioranza, spesso ballerina, di centro-sinistra ci ha messi in crisi, assieme alla globalizzazione e al liberismo sfrenato. Non è facile muoversi con Trump, nel ruolo, de facto, di scendiletto degli equilibri decennali dell’alta finanza continentale.
Matteo Castagna
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