La lettura dell’articolo a firma di Valeria Robecco su il Giornale, del 9 giugno, mi ha dato da riflettere su un quadro che definire inquietante è riduttivo, ma che, con una buona dose di ironia, quasi sfiora il grottesco. Los Angeles nel caos, la Guardia Nazionale in strada, molotov contro lacrimogeni e, ciliegina sulla torta, bandiere messicane sventolate con orgoglio tra le fiamme. Sembra la sceneggiatura di un film distopico, ma a quanto pare è solo l’ultimo capitolo della saga infinita sull’immigrazione di massa e la sua (im)possibile integrazione. E, diciamocelo, per chi ha un minimo di spirito critico, è quasi esilarante.
Il copione lo conosciamo a memoria: stretta sull’immigrazione irregolare, proteste accese, accuse reciproche e, immancabilmente, il politico “globalista” di turno più preoccupato di difendere le “preziose risorse” che la sicurezza dei propri cittadini. In questo caso, il governatore della California, Gavin Newsom, che per Trump è “Newscum”, spazzatura. Un soprannome affettuoso, come si conviene tra capi di stato. E la Casa Bianca che, con un colpo di scena degno di Hollywood, schiera la Guardia Nazionale, minacciando persino l’intervento dei Marines. Tutto questo, ovviamente, per uno “spettacolo” e non per una “carenza nell’applicazione della legge”. Certo, come no.

Ma veniamo al punto che ci sta più a cuore, quello che fa sorridere amaramente: le bandiere messicane che sventolano trionfanti nel cuore di Los Angeles. È un po’ come quando a Parigi sventolano le bandiere algerine o marocchine. Un dettaglio insignificante, direte voi. Magari sono solo patrioti che hanno nostalgia di casa, giusto? Ma no, come si legge nell’articolo, è la prova provata che “questa è gente che non ha la minima intenzione di integrarsi in un’altra nazione”. Caspita, che intuizione! E noi che pensavamo fosse solo una questione di documenti e burocrazia.
E qui, permettetemi di scomodare una perla letteraria, una citazione che, nel suo macabro umorismo, sembra scritta proprio per questi tempi. Dal libro ucronico “Guerriglia” di Laurent Obertone*, che immagina la fine della Francia in tre giorni a causa di rivolte etniche nelle banlieue: “Tre giorni. È bastato questo perché la Francia bruciasse. Tre giorni di disordini, di saccheggi, di odio a cielo aperto. La polizia impotente, l’esercito schierato troppo tardi. Le periferie sono diventate il fronte di una guerra civile che nessuno voleva vedere.” Suona familiare, vero? Magari Los Angeles è solo un piccolo assaggio, un antipasto del grande banchetto dell’apocalisse che ci aspetta.
L’articolo prosegue con la sua lucida analisi, ammonendoci che ciò che sta accadendo a Los Angeles “si ripeterà sistematicamente in tutti i Paesi che decideranno seriamente di espellere clandestini e criminali stranieri.” Insomma, l’Occidente è “ostaggio di eserciti di immigrati pronti a tutto e ben foraggiati.” Ah, i cattivi foraggiatori! Chissà chi saranno. Forse gli stessi che per qualcuno sono solo “risorse”. Il mistero s’infittisce.
E per non farci mancare nulla, si lancia anche una proposta per l’Italia: “Ora che gli italiani hanno detto NO alla cittadinanza facile con l’astensione, suggerisco di rendere la legge più stringente con un aumento del numero degli anni necessari (almeno 20 anni) e con la revoca immediata della cittadinanza a chi viene condannato in via definitiva per reati violenti, anche se minorenne.” Sì, perché si sa, bastano un paio di firme e un timbro per trasformare un delinquente in un cittadino modello. E la cittadinanza, ovviamente, è un premio, non un diritto.
In conclusione, tra una risata amara e un sospiro preoccupato, ci rendiamo conto che forse Obertone non era così “ucronico”. O forse, semplicemente, la realtà ha superato la fantasia. E mentre Los Angeles brucia, e l’Occidente trema, non ci resta che attendere il prossimo atto di questa tragicommedia globale. Speriamo che, almeno, ci sia un lieto fine. O almeno, un buon finale per la stagione.
Alfredo Durantini
*”Guerriglia, il giorno in cui tutto s’incendiò” di Laurent Obertone, nel link la scheda del libro proposta dall’Editore
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