La NATO ha deciso di darci una lezione di “solidarietà difensiva” che ci costerà cara. Molto cara. Stiamo parlando di un sontuoso 5% del PIL da destinare alla difesa! Un vero affare, soprattutto se pensiamo a quanto saremo bravi a spendere i nostri soldi… tutti in beneficenza all’industria bellica d’oltreoceano.
Il recente summit all’Aia, con i nostri brillanti ministri degli esteri, ha partorito l’ennesimo capolavoro di pragmatismo: alzare l’asticella della spesa militare. Tra i “geni” che hanno sottoscritto questo patto leonino dettato da Trump, troviamo anche la Meloni, la conservatrice dei danni altrui, sempre pronta a dare il suo contributo.
Certo, la Spagna ha subito mostrato la sua proverbiale allegria nel rifiutarsi, ma chi se ne importa! L’obiettivo non è mica “obbligatorio”. È più una sorta di nobile aspirazione, un sogno nel cassetto da verificare nel 2029. Quattro anni per decidere se abbiamo speso abbastanza. Nel frattempo, il Cremlino, immagino, sarà sul punto di tremare dalle risate.
Articolo 5: Istruzioni per l’uso
Ma la parte migliore, quella che fa davvero lacrimare gli occhi, è l’interpretazione dell’Articolo 5 del Trattato NATO. Il nostro amico Trump, sempre un passo avanti, ci ha illuminato dalla Air Force One: “Ci sono diversi modi di interpretare l’Articolo 5”, ha sentenziato. In pratica, se qualcuno ci attacca, gli Stati Uniti (e tutti gli altri membri) decideranno “autonomamente” se rispondere e, soprattutto, come. Chiare le direttive, no?
Euro a stelle e strisce
Altra chicca, però, è la destinazione di questi benedetti fondi. Mentre l’Europa arranca con economie in recessione e le nostre industrie della difesa sono “fuori mercato”, gli Stati Uniti sono lì, pronti ad accogliere a braccia aperte i nostri euro. Dopotutto, hanno speso una fortuna in Ucraina con Biden e in Israele con Trump. Un vero impegno umanitario, non c’è che dire.
E i nostri soldi? Beh, serviranno a “sostituire ciò che è stato consegnato agli ucraini”, non a rafforzare la NATO. Insomma, un bel riciclo di fondi, direttamente dalle nostre tasche a quelle dei produttori di armi americani. Un’operazione di beneficenza tra amici.
Il futuro che non vogliamo
Perché riformare la nostra base industriale, che produce “prodotti di scarsa qualità” e che è “altamente ridondante”? Ma figuriamoci! Costa posti di lavoro e i sindacati europei sono potenti. Meglio continuare a comprare dall’esterno. E l’intelligenza artificiale applicata ai prodotti militari? Troppo complicato per noi. Siamo più bravi con la stupidità naturale.
Ah, e non dimentichiamo il problema della truppa. I nostri eserciti sono così sprovvisti di personale che la Germania pensa seriamente alla coscrizione obbligatoria. Immaginate i nostri giovani, poco in forma e con equipaggiamento malandato, pronti a difenderci a ritmo di musica Trap.
A questo punto, speriamo che i russi aspettino fino al 2029 per attaccare. Almeno avremo avuto il tempo di contare quanti soldati abbiamo e quanto è obsoleto il nostro equipaggiamento.
Il gran finale
In sintesi, la NATO ha deciso che dobbiamo spendere di più, ma senza un vero obbligo. E i soldi? Finiranno per finanziare, in larga parte, il sistema militare americano che si è svenato in giro per il mondo. Un vero capolavoro di strategia collettiva: noi patiamo, loro si armano.
E il Cremlino ringrazia sentitamente per la collaborazione.
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