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Quale Occidente?

de Felip Antonio di de Felip Antonio
09/01/2025
in Società
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Quale Occidente?
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Tra il 1918 e il 1923 venne pubblicato, a Vienna e poi a Monaco, Il Tramonto dell’Occidente, di Oswald Spengler. Uno dei libri che più hanno influenzato il pensiero politico europeo del ventesimo secolo, testo ispirato da una grandiosa visione metastorica e tentativo di costruire una morfologia delle civiltà, come suggerisce il sottotitolo: Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale. La distinzione tra la Kultur originaria delle civiltà organiche e la meccanicistica Zivilisation è rimasta come uno dei più importanti topoi metapolitici dallo scorso secolo fino ad oggi. 

Se, come si accennava, la sua influenza fu formidabile in tutta Europa, in Italia il libro venne anatemizzato dal Gran Sacerdote della trionfante cultura idealista e storicista, Benedetto Croce, che accusò Spengler di “dilettantismo”, “ignoranza” e “inconsapevolezza”. Vennero tradotte, pare su sollecitazione di Benito Mussolini, sue opere minori: L’uomo e la macchina e Anni decisivi, ma si dovette attendere fino al 1957 per vedere nelle librerie la versione italiana del Tramonto, tradotta e ottimamente curata da Julius Evola.

Occidente a destra

Ma il termine “Occidente” era entrato prepotentemente nel linguaggio politico dell’epoca, soprattutto a destra. Nel 1925 Henri Massis, cattolico e conservatore, vicino al pensiero dell’Action Française, pubblica Defénce de l’Occident, che diverrà un testo di riferimento per la Destra Francese, anche se Massis tradirà il suo maestro Maurras e gli altri intellettuali di destra francesi rifiutando la Collaborazione. Il regime gollista lo premierà con la nomina ad Accademico di Francia nel 1960. Maurice Bardéche, cognato di Robert Brasillach e il più importante intellettuale della Destra francese del secondo dopoguerra, nel 1952 fonda una rivista con lo stesso nome dell’opera di Massis, Defénce de l’Occident, che diverrà un punto di riferimento per tutte le Destre europee e alla quale collaboreranno pensatori come Lucien Rebatet, Jean Mabire, François Duprat.

Ancora fino agli anni ’70 e ’80, il termine “Occidente” fu usato assai spesso a destra: in Francia Occident fu un gruppo politico che seppe reggere e rispondere alle violenze dei sessantottini, poi sciolto dal regime ma rinato come Ordre Nouveau, che egualmente venne sciolto. A Milano, alla fine degli anni ’60, agì un gruppo studentesco Occidente, mentre a Roma ebbe qualche seguito, negli ambienti della Destra radicale, il Movimento politico occidentale, poi anch’esso vittima della repressione democratica.

Ma cosa ha voluto significare nel tempo, “Occidente”? E’ evidente che questo termine, in Spengler, si riferiva alla civiltà europea e non ricomprendeva certo gli USA. E lo stesso dicasi di Massis e Bardéche. E anche l’Occidente di Ernst Jünger e Carl Schmitt nel loro Il nodo di Gordio. Dialogo su Oriente e Occidente nella storia del mondo era riconducibile alla tradizione culturale e politica europea.

La deriva dell’occidente

E’ un dato di fatto che questa concezione quanto meno eurocentrica dell’Occidente è sempre stata combattuta dagli Stati Uniti. Ci ricorda Franco Cardini nel suo libro La deriva dell’Occidente come l’identità dei concetti di Europa e Occidente venne contestata “in termini precocemente e violentemente antieuropei proprio all’interno dell’élite statunitense del XIX secolo, disposta a ritenere e dichiarare esclusivamente se stessa come “occidentale”, e in quanto tale “antieuropea””. Il termine “civiltà occidentale”, Western Civilization, è recente e nato negli USA in un corso didattico iniziato nel 1919 alla Columbia University.    

D’altronde è implicito nell’atto di nascita degli Stati Uniti il rifiuto dell’Europa e dei valori europei, e ciò è particolarmente vero per la componente puritana dei primi flussi migratori. Ispirati da una visionaria e fanatica interpretazione letteralista dell’Antico Testamento, vedono nelle nuove colonie quella “luminosa città sulla collina” che poi ispirerà l’ “eccezionalismo” americano, il famigerato “destino manifesto” e la presunzione di essere “nazione redentrice”.

Tutta la storia degli Stati Uniti è intrisa di questo antieuropeismo politico e culturale. I Padri Fondatori dichiararono di fuggire dalle “depravazioni dell’Europa”. L’America è la terra egualitaria e di eguali: “La condanna dell’aristocrazia europea divenne un topos dell’ideologia americana dell’uguaglianza repubblicana”, scrive Romolo Gobbi nel suo America contro Europa. 

La dottrina Monroe

La dottrina Monroe venne proclamata nel 1823 contro i paesi europei e persino la Guerra Civile fu, più che una improbabile “guerra per la liberazione degli schiavi” (diversi Stati del Nord erano schiavisti e Lincoln rimase, fino alla fine della guerra, indifferente al tema dalle schiavitù), uno “scontro di civiltà” tra il Nord puritano, industrialista, protezionista e il Sud aristocratico, europeizzante, agricolo e favorevole al libero commercio. Nel 1898 gli Stati Uniti aggredirono la Spagna per impossessarsi di Cuba e delle Filippine. Sugli interventi in Europa degli USA in questo secolo credo che ci sia poco da dire, è storia ben nota.

Dalla fine della guerra, terminata con la sconfitta dell’Europa, umiliata e privata delle sue colonie, e l’occupazione americana con centinaia di basi militari e il soft power di Hollywood, della Coca Cola e dei McDonald, si è vista una sorta di “NATOizzazione” ci si perdoni l’orrendo neologismo, del concetto di Occidente.

Unione sacra?

Siamo stati convinti che Occidente sia una sorta di necessaria, indispensabile union sacrée tra gli USA e il nostro continente, ignorando come tale connubio sia contro natura dati gli interessi profondamente divergenti delle due realtà, le enormi distanze culturali e soprattutto il disprezzo per gli storici valori europei delleélite politico intellettuali di Washington (remember la cortese espressione del sottosegretario di Stato USA, Victoria Nuland: “Fuck the EU”?), spesso cordialmente ricambiato dagli intellettuali europei fin dagli anni ’30: esemplari le parole di Ardengo Soffici su Il Selvaggio: “L’Americanismo è la peste che avanza volgarizzando, rimbecillendo, imbestialendo il mondo, avvilendo e distruggendo alte, luminose, gloriose civiltà millenarie.”  

Così, anche con il favoreggiamento di presunti intellettuali teocon e dei loro emuli nostrani che blaterano di Magna Europa, il termine “Occidente” è stato vittima di un “trasbordo ideologico inavvertito”.

Scrive con chiarezza, al proposito, Franco Cardini: “Occidente” non è una cosa, una realtà geostorica o geoculturale: è una parola equivoca, che ha subito nel tempo una serie di slittamenti semantici e il cui attuale significato è tanto recente quanto equivocamente e perversamente diverso da come lo intendono molti europei convinti che esso ed Europa siano quasi sinonimi. […] La categoria di Occidente è un’invenzione ideologica”. 

Il nemico principale

Significative sono anche le appassionate parole di Alain de Benoist tratte da Il nemico principale (cioè gli USA) del 1982: “l’Europa non può essere confusa con l’ “Occidente” […]. Questo spazio non è il nostro. I suoi interessi non sono i nostri […]. Bisogna farla finita con questo termine “Occidente”, che – dal momento che la semantica sfocia surrettiziamente in una falsa geopolitica – ci taglia arbitrariamente fuori dall’Est europeo e ci pone nel campo americano. […] Noi siamo a pronti a batterci per la difesa del continente e del modello europeo. Non ci batteremo per la “difesa dell’Occidente”.”  

Se “Occidente” è oggi un termine equivoco, scivoloso, tendenzialmente mistificante, ancor di più lo è l’espressione “valori occidentali”. Quali sono questi valori? Sono quelli dell’Europa di sempre? Sono quelli della Grecia, di Roma, della Cristianità, del Medio Evo, di Dante, di Shakespeare, di Lepanto e di Vienna, di Venezia, della difesa di Famagosta e del martirio di Marcantonio Bragadin, della Vandea, della Cruzada spagnola (e potrei proseguire…)?  Sono quelli dell’Europa “faustiana” di Oswald Spengler? Ovviamente no.

L’occidente per Veltroni

Facciamoceli allora spiegare da Walter Veltroni il quale, parlando della guerra in Ucraina, ha pontificato: “La guerra non è solo alla Nato o alla UE, è proprio ai valori dell’Occidente”. E li elenca: “La libertà di pensiero, di parola, di impresa, di stampa, di organizzazione politica e sindacale. La libertà culturale e quella religiosa. La libertà, sì anche quella, dei propri comportamenti sessuali, delle scelte di vita.” 

Che i “valori dell’Occidente” proclamati dai liberal fossero rappresentati anche dalla libertà di gay-pride o di stili di vita che includano l’uso di spinelli e droghe, lo sapevamo da tempo. Però è sorprendente che un signore che ha iniziato la sua carriera politica nell’organizzazione giovanile del Partito Comunista, eletto consigliere comunale nelle file del Partito Comunista, poi deputato al Parlamento con il Partito Comunista, membro del Comitato Centrale del Partito Comunista, oggi tra i prezzemolini rossi dell’egemonia culturale goscista, inneggi alla libertà di pensiero, di parola, persino d’impresa, persino quella culturale e religiosa.

Ovviamente la “libertà” di cui parla costui è da concedere solo a quelli che decidono “loro”. E’ come la “tolleranza” di Karl Popper, da garantire a tutti, tranne che agli “intolleranti”, ma sono sempre “loro” a decidere chi sono gli “intolleranti”. Abbiamo, a questo proposito, avuto in Italia e in Europa innumerevoli esempi, negli ultimi tempi: elezioni annullate, giornali chiusi, esponenti del dissenso “debancarizzati”, processi e galera per i critici dell’immigrazione, esponenti politici del dissenso imprigionati perché hanno passato la notte fuori e molto, molto altro ancora.  

Valori occidentali

Togliamo il velo all’ipocrisia: in realtà quali sono i veri “valori occidentali” cantati dai politici liberal, dai media mainstream, dalle élite mondialiste e sorosiane, dai feroci burocrati di Bruxelles, dagli intellò antifascisti, antirazzisti e progressisti?

Quando costoro parlano di “valori dell’Occidente”, in realtà intendono la distruzione della famiglia, la legittimazione e l’imposizione dell’omosessualismo e del genderismo, l’abortismo, l’eutanasia, il neo-malthusianesimo, la negazione della libertà di pensiero e di parola per i dissidenti, l’imposizione della “correttezza politica”, l’antifascismo, l’antirazzismo e l’anticolonialismo, la persecuzione dei valori cattolici con leggi liberticide, la distruzione anche fisica delle chiese (come in Francia), la corruzione delle parole, l’imposizione di un vocabolario censurato, falso e falsificante, la sistematica denigrazione della storia, della cultura, della civiltà dell’Europa bianca e cristiana, la distruzione dei monumenti, la cancel culture, il femminismo sguaiato e violento, l’anti-patriarcato negatore di millenni di civiltà, l’immigrazione selvaggia e barbarica, la sostituzione dei popoli, l’ambientalismo menzognero, antiumano, regressivo e suicidario. Questi sono “valori dell’Occidente” imposti del mondialismo liberal.  

Assommando equivoci su equivoci e ipocrisie su ipocrisie, abbiamo assistito, in tempi recenti, al moltiplicarsi di pubblicazioni (lo ha osservato anche Roberto Pecchioli su queste stesse pagine) che spargono calde lacrime sul suicidio culturale dell’Occidente, inteso come ircocervo euroamericano, in preda al wokismo più estremo, alla politically correctness, alle violenze dei Black lives matter, alla cancel culture che distrugge le statue di Colombo, brucia i classici e toglie la libertà di parola.

Il suicidio occidentale e le sue prefiche

Tutti sciagurati fenomeni nati negli USA e poi esportati (o imposti?) al nostro continente. Un’impressionante proliferazione di testi che riportano, nel titolo, il termine “Occidente”. Proviamo a citare solo i più recenti: L’autodistruzione dell’Occidente di E. Capozzi; Suicidio occidentale e Grazie Occidente! di F. Rampini; Il suicidio della cultura occidentale di G. Meotti; Guerra all’Occidente di D. Murray; Il complesso occidentale di A. Del Valle; La crisi dell’Occidente di Santiago Cantera Montenegro; La sconfitta dell’Occidente di E. Todd. Queste prefiche del suicidio occidentale, sinistri critici e liberal-conservatori (ma molto più liberali che conservatori) sono oggi come i girondini spaventati dall’esser stati superati a sinistra dai giacobini e timorosi di essere spediti sul patibolo.

Sul versante opposto, come non condividere, allora, il severo monito di Aleksandr Dugin, filosofo così odiato e diffamato dai teocon pseudoconservatori: “l’Occidente non è più quello della cultura mediterranea romano-greca, né il Medioevo cristiano. L’Occidente ha tagliato le proprie radici ed oggi rappresenta l’anticivilizzazione.”

Il più grande scrittore russo dello scorso secolo, Aleksandr Solženicyn, chiarì con fermezza in un famoso discorso ad Harvard che il rifiuto totale del modello comunista non significava affatto l’accettazione del modello “occidentale”: “Se mi chiedessero: vorrebbe proporre al suo paese, come modello, l’Occidente così com’è oggi? dovrei rispondere con franchezza: no, non potrei raccomandare la vostra società come ideale per la trasformazione della nostra. Data la ricchezza di crescita spirituale che in questo secolo il nostro paese ha acquisito nella sofferenza, il sistema occidentale, nel suo attuale stato di esaurimento spirituale, non presenta per noi alcuna attrattiva.” No, si parva licet, neppure per noi il sistema occidentale presenta alcuna attrattiva.

Antonio de Felip

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