Con questo ottantesimo numero, dedicato alla “criminale continuità del regime sionista”, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” propone un insieme di contributi che si distinguono per rigore argomentativo e coerenza di prospettiva, offrendo un quadro interpretativo che unisce erudizione storica, capacità analitica e vivacità di scrittura. L’assenza di apparati iconografici, compensata da un impianto testuale compatto e densissimo, favorisce la concentrazione sul dato concettuale, restituendo un’impressione di serietà editoriale e di cura scientifica.
L’editoriale di Claudio Mutti si colloca immediatamente come asse portante del numero: attraverso un percorso storico che va dalla figura di Yitzhak Rabin fino alle recenti imputazioni internazionali nei confronti di Netanyahu e Gallant, viene delineata una continuità politica che smonta il mito di una presunta alternanza tra “moderati” e “falchi”. L’argomentazione procede con ritmo serrato e documentazione puntuale, richiamando episodi spesso occultati dal discorso corrente: dal massacro di Deir Yassin fino alluso del fosforo bianco a Gaza. L’efficacia del testo risiede nella capacità di legare fatti storici, riferimenti giuridici e citazioni bibliche in un impianto che non indulge alla retorica, ma avanza una tesi chiara: la persistenza strutturale di un progetto coloniale.
Geopolitica di Thiart
La sezione di geopolitica e geostrategia si apre con l’ampio saggio di Luc Michel dedicato alla concezione geopolitica di Jean Thiriart. L’autore conduce un confronto serrato con i classici della disciplina — Haushofer, Mackinder, Mahan, Spykman — fino ad arrivare a Brzezinski e a Huntington. L’analisi è al tempo stesso storica e proiettata sul presente: Thiriart, che in Occidente è passato sotto silenzio, viene mostrato come una fonte imprescindibile per comprendere il pensiero eurasiatista contemporaneo. Michel padroneggia un apparato teorico complesso, lo intreccia con riferimenti filologici e politici, e ne trae una riflessione che va oltre l’esegesi: il lettore viene condotto a percepire il nesso profondo tra geostrategia e ideologia, tra dottrine imperiali e assetti globali. Il valore del contributo sta nella capacità di accostare grandi figure del pensiero politico a casi concreti della storia europea, come la Kleinstaaterei di Richelieu riletta alla luce della frammentazione balcanica.
Segue l’intervento di Amedeo Maddaluno, dedicato al bilancio italiano della Difesa. Qui lo sguardo si concentra su un piano strettamente tecnico, ma senza cedere a schematismi burocratici: la trattazione riesce a unire la prospettiva strategica con la valutazione economica, mostrando l’intreccio tra spesa militare, vincoli geopolitici e collocazione dell’Italia nello schieramento atlantico. La chiarezza espositiva si accompagna ad una sobrietà stilistica che rende il testo leggibile anche a chi non abbia formazione specialistica in materia.
Ecosistema economico e Continenti
L’articolo di D’Urso e Giosafatto su ecosistema economico e potere spaziale apre invece un ambito meno frequentato dalle riviste generaliste: lo spazio come teatro geopolitico ed economico. L’approccio è originale, capace di far emergere le interdipendenze tra tecnologia, investimenti e sovranità. L’impianto teorico non si limita all’analisi tecnica, ma situa il discorso nello scenario competitivo globale, offrendo spunti per comprendere come la supremazia tecnologica divenga strumento diretto di potere politico.
La sezione “Continenti” amplia ulteriormente lo spettro. Alessandra Colla, con La ricreazione è finita, si distingue per incisività: lo stile netto e privo di fronzoli conferisce forza a una riflessione che unisce tono critico e solidità argomentativa.
Gabriele Repaci, in La fame come mezzo di genocidio, affronta un tema drammatico con equilibrio raro, intrecciando fonti storiche e testimonianze in una prospettiva che trascende il dato locale per collocarsi nel discorso universale dei diritti negati.
Cina e Iran
Il contributo di Daniele Perra, dedicato alle relazioni sino-iraniane, si distingue per l’ampiezza documentaria e la capacità di unire analisi storica e prospettiva geopolitica. L’autore sa ricostruire la profondità di rapporti che troppo spesso vengono ridotti al mero dato diplomatico, mostrando invece la stratificazione culturale e la logica di lungo periodo che li sostengono.
A questo contributo si affianca il saggio di Matteo Marchioni sul programma nucleare iraniano e i legami con Bonn, un’analisi che mette in luce dinamiche tecniche e politiche con precisione e senza cadere in semplificazioni.
Valerio Savioli, con L’espiazione perpetua della Germania, conduce un discorso di grande complessità storiografica, che coniuga profondità filosofica e attenzione ai dati storici. La sua scrittura si distingue per densità concettuale, offrendo al lettore non solo un resoconto ma una vera meditazione sul destino politico-culturale tedesco.
Una visione d’insieme
Anche Aldo Braccio, in La Turchia nel mirino di Israele?, si segnala per lucidità nell’intrecciare la cronaca geopolitica con una visione d’insieme: la forza del testo sta nel saper cogliere linee di tendenza e implicazioni di lungo periodo, senza indulgere a interpretazioni episodiche.
Francesco Valacchi, con Le emergenze nell’Asia del Sud, e Stefano Azzali, con Washington, Tel Aviv e la Silicon Valley, offrono due tasselli complementari: il primo mette in luce criticità regionali con chiarezza espositiva, il secondo lega tecnologia e potere politico con finezza analitica, mostrando come l’innovazione non sia mai neutrale, ma costituisca uno strumento di dominio. Giuseppe Cappelluti, trattando con scrittura solida e dati ben contestualizzati il tema della presenza della Lukoil negli Stati Uniti, fornisce un esempio di economia politica che si fa geopolitica.
Il saggio di Francisco de la Torre su Eurasiatismo e America indiolatina amplia ancora lo spettro, mostrando come le categorie geopolitiche non siano riservate al solo asse euroasiatico, ma possano illuminare i processi di integrazione e resistenza in contesti apparentemente periferici. Infine, l’intervento di Franz Simonini sulla percezione cinese del tempo costituisce un contributo di singolare originalità: la riflessione culturale diventa chiave di lettura geopolitica, suggerendo che la temporalità stessa sia un campo di potere e un fattore strategico.
Documenti
La sezione “Documenti” con il testo di Karl Marx sulla questione ebraica e lo spazio finale dedicato alle recensioni librarie rafforzano la struttura complessiva del numero, offrendo sia un radicamento storico-filosofico sia un aggiornamento critico sulla produzione editoriale più pertinente. Qui emerge la continuità tra analisi politica e tradizione intellettuale, cifra che conferisce alla rivista una coerenza rara nel panorama delle pubblicazioni geopolitiche.
Nel complesso, il volume si presenta come un mosaico organico, nel quale ogni contributo aggiunge un tassello all’interpretazione di lungo periodo. Ciò che colpisce non è soltanto la varietà dei temi — dall’analisi storica dei conflitti alle prospettive sullo spazio, dalla riflessione culturale alle questioni di economia politica — ma la loro orchestrazione in un disegno unitario. Gli autori, ciascuno con il proprio stile, convergono verso una linea di pensiero che non teme di confrontarsi con i dogmi dominanti e che anzi si distingue per la volontà di leggere i processi globali con strumenti critici e indipendenti. La brillantezza non è dunque artificio retorico, ma risultato di un equilibrio tra erudizione, chiarezza e visione.
Matteo Pio Impagnatiello
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