Venticinque anni fa, il 24 marzo 1999, la NATO dava inizio all’operazione “Allied Force”, un intervento militare che avrebbe segnato profondamente la storia della Serbia e dell’intera regione balcanica. Senza un mandato delle Nazioni Unite, l’Alleanza Atlantica, per la prima volta nella sua storia, intraprendeva un’azione di guerra, bombardando Belgrado e altre città serbe.
Un tributo di vite innocenti
Le conseguenze di quei 78 giorni di bombardamenti furono devastanti: migliaia di civili persero la vita, colpiti da raid aerei che non risparmiarono infrastrutture civili come treni, autobus e ponti. Un tributo di sangue che ancora oggi pesa come un macigno sulla coscienza collettiva.
Il ruolo dell’Italia
In questa operazione, l’Italia giocò un ruolo tutt’altro che secondario, mettendo a disposizione le proprie basi aeree e partecipando attivamente ai bombardamenti. Una decisione che suscitò e suscita ancora oggi forti polemiche, alimentando il dibattito sulla sudditanza del nostro Paese alla NATO e agli Stati Uniti.
Il Governo
Il governo italiano vedeva presidente del consiglio Massimo D’Alema, vicepresidente Sergio Mattarella, le politiche comunitarie affidate ad Enrico Letta, e la solidarietà sociale alla eterea Livia Turco. Insomma, tutta la sinistra “democratica” ed europeista si schierò con Stati Uniti e Nato per colpire duro la piccola Serbia.
Un’eredità di dolore e interrogativi
A 25 anni di distanza, il ricordo di quei tragici eventi è ancora vivo. Le immagini di Belgrado devastata, il dolore delle famiglie delle vittime innocenti, gli interrogativi sulle responsabilità politiche e militari: tutto questo continua a interrogarci sul senso di un intervento che, lungi dal risolvere i problemi, ha lasciato dietro di sé una scia di dolore e divisioni.
Redazione
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