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Home Cultura

55 anni fa la battaglia di Valle Giulia: un ricordo di quella mattina

Redazione di Redazione
23/09/2024
in Cultura
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55 anni fa la battaglia di Valle Giulia: un ricordo di quella mattina55 anni fa la battaglia di Valle Giulia: un ricordo di quella mattina – In occasione dei 55 anni dagli scontri passati alla storia come “La battaglia di Valle Giulia” pubblichiamo volentieri un racconto della vicenda personale di un allora giovane militante che partecipò a quella giornata.

Il vento della rivolta giovanile che spazzerà le piazze europee negli anni 60, inizia a soffiare fra le strade di Londra nel 1963 ove 4 ragazzi di Liverpool ed una giovane stilista di nome Mary Quant daranno vita a quello che sembra un semplice fatto esteriore.

La contestazione sbarca in Europa

Prende forma l’epoca dei capelli lunghi, delle minigonne del bisogno di aggregarsi in massa: non è solo una moda giovanile ma l’inizio un terremoto di pensiero che finirà per travolgere un’intera generazione, rivoluzionandone i costumi, le abitudini e l’atteggiamento verso il mondo dei padri. Ha capirlo saranno in pochi, Marcuse e Russel fra loro. Il vento si gonfia in aperta ribellione nei campus universitari americani ove migliaia di studenti si scontrano con la polizia, per protestare contro la guerra in Vietnam, la segregazione raziale ed il classismo vigente nelle facoltà.

Il 1968 cambia tutto

Poi il turbine attraversa l’oceano e diventa tempesta nel 1968 per diventare il maggio francese; una protesta aperta e violenta contro il sistema. Ma Parigi non è sola nella rivolta, Roma l’anticipa di tre mesi, presso la facoltà di Architettura di Valle Giulia: è il 1° marzo 1968, il giorno in cui, per la prima volta, dopo mesi di manifestazioni interrotte dalle cariche della Celere, gli studenti non scapperanno ma faranno muro, ingaggiando gli uomini in divisa in una lunga, violentissima battaglia.

La battaglia di Valle Giulia un ricordo di quel giorno

Gli scontri passeranno alla cronaca come “la battaglia di Valle Giulia”, termine forse eccessivo, specialmente agli occhi di chi c’era, come me ma di certo fu un punto di svolta nella dinamica della contestazione giovanile. Tutto comincia per caso, come tante volte accade nella vita, in una fredda domenica mattina di gennaio o febbraio, presso piazza San Giovanni in Roma, alle prime luci dell’alba.

La piazza è il luogo di raccolta per quanti hanno deciso di passare una giornata sulla neve. Qui si trova anche il pullman che, insieme ad alcuni amici, abbiamo affittato nella speranza di riuscire a riempirlo con giovani desiderosi di passare una giornata in allegria. Lo facevamo per guadagnare qualche soldo ed avere la possibilità di conoscere nuove ragazze.

Nell’attraversare la piazza m’imbatto in un gruppo di studentesse dallo sguardo smarrito, essendo arrivate in ritardo, il loro pullman non le ha aspettate ed è partito comunque. Mi faccio coraggio, avvicino quella che pare essere il capo branco e le chiedo se posso aiutarla: si chiama Teresa, al bavero un inquietante spilla con la faccia del Che; non è una modella ma sicuramente carina: mi basta per offrirle un passaggio sul nostro mezzo.

Movimento studentesco e Giovane Italia

Accetta con un grande sorriso di sollievo, non debbono tornare a casa imbacuccate in scarponi e giacche a vento. La giornata la passiamo assieme a parlare o meglio a litigare, viste le nostre differenti posizioni politiche; nessuno di noi due sa sciare, il tempo delle parole è pertanto lungo. Lei viene dal liceo classico Augusto e fa parte del Movimento Studentesco io della Giovane Italia, il gruppo giovanile dell’allora MSI; un’organizzazione che mi va stretta, con i suoi rituali nostalgici e l’ambizione a fare la guardia al classico bidone di benzina in Alto Adige “italiano”.

Troppo poco rispetto ad una realtà studentesca in fermento che cerca altre risposte, io fra questa. A sera, nel tepore e nelle luci soffuse del pullman, le nostre differenze sembrano essere arrivate ad un giusto compromesso e decidiamo di metterci assieme. Così, per puro caso, inizia la mia storia con una ragazza dell’altra sponda del Tevere politico, una storia che cambierà profondamente il mio sentire ideologico al punto d’iniziare a frequentare quel Movimento, sicuramente a sinistra ma assente di radicalismo preconcetto antifascista; sanno chi sono ma mi lasciano parlare liberamente.

Sentire un fascista parlare di socializzazione era qualcosa che li stupiva ed incuriosiva. Per me si apriva un mondo nuovo, pieno di contraddizioni certo ma privo di quel bigottismo ottuso che respiravo in Giovane Italia, da qui il mio corto circuito politico; il trittico Dio; Patria e Famiglia poteva fare a meno di me e così i santini del Duce; il diario Balilla; le interminabili conferenze su Gentile ed i labari neri alla parete.

La mia metamorfosi era iniziata; non servivo più lo Stato, come guardia bianca ma lo combattevo, nella speranza di riuscire ad abbatterlo.

1° marzo 1968

Arriviamo al 1° marzo 1968. Il giorno prima la mia ragazza mi aveva chiamato per avvisarmi di saltare scuola e di vederci al solito posto alle nove, anticipandomi che vi erano casini in vista poiché la polizia stava sgombrando l’ateneo di Architettura di Valle Giulia precedentemente occupato dagli studenti.

Puntuali ci incontriamo a piazza Risorgimento e ci dirigiamo verso la zona calda, sul suo vespino 50 mentre, a pazza di Spagna migliaia di giovani stanno manifestando contro la repressione. Da qui si staccano due cortei, uno punto sulla città universitaria, l’altro, più numeroso, verso Valle Giulia. Noi due arriviamo prima e ci dirigiamo verso la scalinata di destra mentre, su quella di sinistra ed ai suoi piedi, sono schierati centinaia di agenti in tenuta anti sommossa e decine di camionette pronte a muoversi. Nel complesso l’atmosfera rimane tranquilla, violenti solo gli slogan ingiuriosi che partono dalla scalinata tenuta dagli studenti, quella di destra appunto.

Il Corteo

Con l’arrivo del corteo la temperatura si alza ma non succede ancora niente se non il crescere del nervosismo sulla faccia dei celerini. Il grosso si posiziona sulla nostra scalinata mentre una prima linea di circa 30 persone si pone ai suoi piedi, con aspetto deciso e rami in mano, raccolti per terra. Li guardo attentamente per capirne le mosse; con mio stupore mi pare di riconoscere alcune facce familiari. Non può essere penso ed allora mi avvicino per osservarli meglio. Cazzo sono camerati di Avanguardia Nazionale! Di certo vi è Stefano delle Chiaie, Adriano Tilgher e Tonino Fiore che ho già incontrato dentro la Giovane Italia o presso la sede ANPDI in via delle Milizie; gli altri mi sfuggono: poi saprò trattarsi di Guido Paglia, Mario Merlino, Maurizio Giorgi, Cesare Perri; confabulano con i compagni presenti come per decidere la strategia da seguire.

I camerati provengono dal Fuan, sulla carta l’organizzazione universitaria del MSI, nella realtà una chiesa eretica, ostile alle direttive del partito riguardo al ruolo da svolgere nella contestazione giovanile. Confuso ritorno da Teresa e le spiego cosa ho visto.

Lei mi risponde semplicemente: “fatti i cazzi tuoi, va bene così, anche tu sei camerata o no?”.

Improvvisamente le cose subiscono un’accelerazione inaspettata; un gruppetto di celerini si avvicina alla nostra scalinata, preleva uno studente per i capelli ed inizia a pestarlo. È la scintilla che infiamma la prateria. Dalla prima linea comincia a volare di tutto, dai sassi a quanto disponibile intorno. Partono anche alcune bottiglie incendiarie. Gli scontri si diffondono a macchia d’olio poiché, quanti in attesa sulla scalinata, prendono coraggio e si lanciano nella mischia aggiungendo, ai pochi “neri” presenti, una massa d’urto considerevole.

I manifestanti prendono il sopravvento mentre la polizia, intimorita, arretra lanciando lacrimogeni alla cieca ed avviando le camionette in una gimcana omicida. La scintilla è esplosa anche nella mia testa, la rabbia mi è arrivata agli occhi. Raccolgo i lacrimogeni ed inizio a lanciarli indietro poi mi cerco un ramo da impugnare. La mia ragazza prova a trattenermi ma finisce per farsi contagiare dalla pazzia del momento.

Primo episodio

Si tratta del primo vero episodio di guerriglia urbana fra le strade d’Italia. Uno scontro serrato in cui la polizia ha la peggio. Alla fine della giornata il bollentino racconta di 160 feriti fra le forze dell’ordine, 500 fra i dimostranti e 230 fra fermi ed arresti; otto camionette date alle fiamme ed alcune armi sottratte. Verso mezzogiorno arrivano i carabinieri di rinforzo, quelli con il guanto lungo di cuoio per parare i colpi.

Sono disciplinati, determinati, ben inquadrati e la situazione si ribalta. Ora, in fuga, sono gli studenti; il grosso si rifugia, contro ogni invito a non farlo, nell’edificio della facoltà pensando di potersi difendere meglio; in realtà finiscono in trappola. La maggior parte dei fermi e dei feriti sarà fra loro. I più scaltri si dileguano, io e la mia amica fra questi. Ci fermiamo a piazzale Flaminio, lei è dolorante per una manganellata sulla spalla io per una al braccio: poteva andare peggio.

Nei giorni a seguire, gli scontri subiranno la retorica della mitizzazione, diventando “la battaglia di Valle Giulia”, con tanto di canzone del canta autore Paolo Pietrangeli e titoli contrastanti sui giornali. Ostili quelli della destra, ammiccanti quelli di sinistra. Nel tempo apprenderò che, fra gli studenti, vi erano anche personaggi destinati a diventare famosi come Paolo Liquori, Giuliano Ferrara ed Ernesto Galli Della Loggia mentre, fra i poliziotti, l’agente Michele Placido.

“figli viziati della borghesia”

Inaspettato e duro sarà il commento di Pasolini sull’accaduto: definendo i celerini come veri proletari e gli studenti come “figli viziati della borghesia”. Sulla carta non aveva torto ma la realtà era molto più complessa. Nella testa di qualcuno era iniziata quella “scalata al cielo” che finirà, tragicamente, nel sangue degli “anni di piombo”; quando l’utopia politica verrà militarizzata, nell’illusione che l’asticella dello scontro potesse essere alzata ad insurrezione di massa.

Al di là della retorica mediatica, quell’1° marzo 1968 segnò uno sparti acque; a sinistra “che non ci avrebbero più trovati disarmati”; a destra, l’illusione che fosse possibile replicare quanto avvenuto a Parigi il 6 febbraio 1934, ove destra e sinistra si trovarono unite, nel sangue sparso, per manifestare contro lo Scandalo Stavisky.

Una breve utopia che verrà spazzata via, due settimane dopo Valle Giulia, dall’intervento di Almirante e Caradonna alla facoltà di Lettere della città universitaria, contro la “teppaglia rossa”. Non avevano capito un cazzo ma le conseguenze le pagheremo noi della “sponda sbagliata” della contestazione e le pagheremo sulla pelle dei Ramelli, dei Cecchin, di Acca Larentia e di tutti i camerati caduti per mano di quei compagni con i quali, forse sarebbe stato possibile intendersi se avessimo avuto una Destra con una visione antagonista ed antisistema ma il MSI era un’altra cosa.

Organizzazioni extra parlamentari come Ordine Nuovo e Lotta di Popolo proveranno a fare la differenza senza riuscirci, finendo risucchiate nei giochi sporchi del Ministero degli Interni che, con l’amerikano Taviani, hanno già in tavola il protocollo CIA sulla strategia della tensione.

Enrico Maselli

Tags: 1968antifascismoComunismoEuropafascismoItaliaSinistrastudentiUniversitàValle Giulia
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