Che nei paesi dell’Unione Europea si vada drammaticamente registrando un progressivo restringimento della libertà di parola, di espressione e delle libertà politiche in genere, di cui sono vittime soprattutto, ma non solo, le forze cosiddette sovraniste ed euroscettiche, è un dato di fatto non contestabile da alcuno.
In Francia, già afflitta da ferocissime e liberticide leggi antirazziste, anti-anti-semite e filoimmigrazioniste, Marine Le Pen è stata condannata penalmente per impedirle di partecipare alle prossime elezioni presidenziali. E ciò nonostante da anni la Le Pen, tradendo il pensiero del padre Jean-Marie, si sia riposizionata politicamente, sedendosi sulla sponda russofobica, votando a favore dell’aborto, addolcendo i toni contro l’immigrazione. Sempre in Francia, il settimanale di destra/destra Rivarol, fondato nel 1951, presente in tutte le edicole, è stato costretto a chiudere dal regime macronista, che gli ha illegalmente ritirato tutte le facilitazioni, anche postali, previste per la stampa, tutta la stampa.
In Grecia partiti di destra sono stati sciolti d’autorità e i deputati espulsi dal Parlamento. In Romania ha fatto scalpore l’annullamento delle elezioni vinte da un sovranista, che è stato addirittura arrestato. Il Germania è continua la persecuzione giudiziaria, e non solo giudiziaria, spesso anche fisica, contro Alternative für Deutschland (sette candidati alle elezioni locali sono morti misteriosamente in pochi giorni, un fatto statisticamente quasi impossibile) e contro altri partiti e movimenti di destra. Settimanali sovranisti vengono chiusi d’autorità, televisioni libere debancarizzate.
In Polonia, il governo presieduto dal “liberale” e ultraeuropeista Tusk (nonostante il suo partito abbia perso le elezioni), ha scatenato una vera e propria persecuzione contro i partiti di destra e la Chiesa Cattolica (alcuni sacerdoti sono stati anche imprigionati). Per fortuna il neo eletto Presidente, il conservatore, sia pure assai moderato, Karol Nawrocki e la Chiesa polacca (meno intaccata di altre dalla peste conciliare e postconciliare, modernista, bergogliana e liberal) non rinunciano a lottare per mantenere aperti spazi di libertà. Anche in Spagna e in Portogallo si è aperta la caccia giudiziaria contro Vox e Chega!, i due partiti sovranisti iberici. E l’elenco potrebbe continuare.
Ma l’attacco contro la libertà, la sovranità degli Stati, i principi della scelta per via elettorale di chi deve governare, della piena capacità legislativa dei Parlamenti nazionali, dell’indipendenza delle magistrature rispetto a una strabordante Corte di Giustizia Europea, e così via, non proviene solo dalle forze progressiste e fanaticamente pro-UE, ma anche delle stesse istituzioni europee, da suoi esponenti ed ex esponenti, da “intellettuali” sostenuti dal milieu dei media mainstream, dai think tank liberali e socialisti, dalle università (la feroce egemonia culturale della sinistra non affligge solo l’Italia), da oscuri burocrati o eurocrati non eletti da nessuno ma che vogliono conservare il loro potere e i loro privilegi.
Esemplare il discorso tenuto da Mario Draghi al meeting di CL a Rimini. Sia pure con una certa prudenza, e ammettendo l’esistenza di “picchi di scetticismo” nell’opinione pubblica verso l’Unione Europea, il nostro ex tutto ha nuovamente tuonato contro il rischio di un ritorno alla sovranità nazionale. In sostanza, la solita richiesta di “nuove forme di integrazione”, di riduzione della sovranità e dell’indipendenza degli Stati. Richiesta perentoria già avanzata in un’intervista all’Economist nel 2023: “più sovranità condivisa nell’Eurozona” e “trasferire più poteri di spesa al centro”.
Il bello è che il popolo “cattolico” di Rimini ha applaudito l’ammazzapopoli con un lungo e fragoroso applauso, una vera standing ovation. Eppure ci ricorda il sito La Nuova Bussola Quotidiana che l’ultra-europeismo di Draghi e il suo sogno di un super-stato centralista era già stato bollato da una delle più autorevoli voci cattoliche italiane, monsignor Giampaolo Crepaldi, vescovo emerito di Trieste e fondatore dell’Osservatorio Internazionale sulla Dottrina Sociale della Chiesa, come “incompatibile con la visione cattolica”. Diceva Crepaldi in un’intervista dell’aprile 2024 riferendosi proprio a Draghi: “Il progetto annullerebbe le comunità naturali, dalla famiglia alle comunità locali fino alle nazioni, e creerebbe un super-Stato ancora più lontano da cittadini e comunità organiche di quanto siano oggi le istituzioni dell’Unione. Il proseguimento delle transizioni attuali in mano ad un simile Leviatano potrebbe creare un sistema centralizzato di controllo della popolazione con pericoli per la stessa libertà”.
Un fenomeno sempre più evidente, anche se sottaciuto dalla stampa mainstream, è il continuo accentramento del potere nell’UE nelle mani della Commissione (la meno rappresentativa delle istituzioni europee) e, in particolare, della sua Presidente, la baronessa Ursula Gertrud von der Leyen, a scapito del Parlamento (che, pur non essendo un vero Parlamento, non avendo una potestà legislativa diretta, ha pur sempre una sua maggiore legittimità rappresentativa) e del Consiglio.
In un ottimo testo, Finis Europae. L’Europa non è NATO, edito da Oaks editrice, l’autore Antonio Arena, tra l’altro per anni funzionario dell’UE, così scrive: “La presidenza di Ursula Gertrud von der Layen si caratterizza per una continua esposizione mediatica e per evidenti sconfinamenti dalle competenze che i Trattati riservano alla Commissione”. E ancora: “nulla può giustificare l’irrituale ruolo politico che assume la von der Leyen nel corso del conflitto russo-ucraino che si traduce in continue ed eclatanti prese di posizioni, dichiarazione, annunci, condanne e anche in atti concreti che dovrebbero essere di esclusiva competenza del Consiglio Europeo”.
Riferisce poi Antonio Arena come la von der Leyen: “si presenta – impropriamente – quale figura centrale e rappresentativa dell’intera UE”.Insomma, stante anche la carenza di leadership, e di leader, nell’Unione (quella carenza che fece pronunciare a Kissinger la famosa, sarcastica frase: “chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?”), la von der Layen vuole accreditarsi come “rappresentante” dell’UE.
Tuttavia, questo suo debordare genera ovvie reazioni. Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del board della Banca Centrale Europea, ha lamentato lo spostamento di potere, riguardo alla politica economica, a favore della Commissione, e quindi della von der Leyen, a scapito degli Stati membri. La Corte dei Conti europea l’ha sanzionata per aver sottoscritto ben undici contratti d’acquisto dei presunti “vaccini” anti-Covid senza un accordo preliminare dei governi degli Stati membri.
Qualche mese fa costei decise di bypassare il Parlamento Europeo, il cui voto era invece dovuto, per far approvare il bellicista e russofobico documento sul “riarmo” dell’UE, con il pretesto, oggettivamente inesistente, dell’urgenza. L’altra “gran dama” dell’Unione, la Presidente del Parlamento Roberta Metzola, tra l’altro proveniente dal Partito popolare come la baronessa, l’ha presa assai male e ha fatto ricorso alla Corte di Giustizia per l’annullamento del provvedimento, non per il suo contenuto, ma per il suo irrituale iter approvativo.
Una gravissima crisi, mai vista prima, tra istituzioni comunitarie. Eppure, i soliti media di regime hanno, anche stavolta, sorvolato sulla notizia, tacendola o minimizzandola. E’ infine recente l’irritazione, espressa con molta durezza, del Ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius e condivisa dal cancelliere Friedrich Merz, per la fuga in avanti della von der Leyen che ha rivelato l’esistenza di “piani precisi” per l’invio di truppe “europee” in Ucraina.
Ora, è bene puntualizzare ancora una volta cos’è, e soprattutto cosa non è, l’Unione Europea, il cui stesso nome è, almeno parzialmente, fuorviante. L’UE non ha alcun ubi consistam statuale. Non è uno Stato e tanto meno un super-Stato né una Federazione e neppure una Confederazione. Non ha una sua propria Costituzione né un corpus giuridico comune. Non ha una propria sovranità: sono i singoli Stati a mantenerla.
E’ un insieme di trattati che hanno devoluto alcune materie alla competenza dell’Unione e questa “devoluzione” è spesso avvenuta in modo assai opaco riguardo all’informazione alle opinioni pubbliche nazionali. Quanti europei, ad esempio, sapevano che la competenza sui dazi è in capo all’Unione e non più ai singoli Stati? Ne abbiamo avuto un esempio con le grottesche, disastrose “trattative” della solita von der Leyen con Trump, che l’ha irrisa e umiliata e che ha imposto dazi e condizioni (come una quantità impossibile d’investimenti in USA e l’acquisto costosissimo, rispetto a quelle russe, di risorse energetiche) a un’imbelle Unione Europea.
E come base valoriale l’Unione, anziché la cultura della nostra storia d’Europa, quella greco-romana e cristiana, si è data la falsificante ideologia di presunti “diritti universali” di origine illuministico-onusiana, divenuti cavalli di Troia per la giustificazione, se non l’esaltazione, di ogni perversione antiumana.
Non dimentichiamo poi la Banca Centrale Europea la cui algida Presidente, Christine Lagarde, continua a strozzare l’economia europea con i suoi alti tassi d’interesse e che sta preparando a ottobre una bruttissima sorpresa per i cittadini europei: l’euro digitale, un incubo tecnologico che dovrebbe sostituire totalmente, in prospettiva, il contante. Ne ha già parlato anche questo sito: Dal controllo digitale alla sovranità popolare – 2 di Picche Non soltanto tutte le transazioni diverrebbero totalmente trasparenti per la BCE, l’UE e i governi, ma i nostri conti potrebbero essere bloccati se fossimo sgraditi al potere e BCE, UE e i governi potrebbero imporre limitazioni, vincoli o proibizioni sull’uso del denaro, decidendo se, quando e verso quali beni questo possa essere speso. Un attacco inimmaginabile alla libertà finanziaria, e quindi alla libertà tout court, dei cittadini i cui esiti supererebbero, per potenza totalitaria, persino il famigerato “credito sociale” cinese.
Tuttavia, data la sua natura non statuale, l’Unione Europea è ancora una prigione da cui, sia pure a fatica, si può uscire, come dimostra il caso della Brexit, che ha ridato indipendenza alla Gran Bretagna; e non è affatto vero che gli attuali guai economici di questo paese siano dovuti alla Brexit: ben altre sono le cause: gravosa imposizione fiscale, sfiducia degli imprenditori nel governo laburista e quindi bassi investimenti, elevata spesa sociale soprattutto dovuta all’immigrazione selvaggia, inflazione, debito pubblico elevatissimo. Certo, c’è la camicia di forza dell’euro a complicare le cose, ma non sarebbe impossibile trovare vie d’uscita.
Se l’obbiettivo dei poteri forti, espressione usurata, ma tuttora pertinente, che governano l’Unione – partiti di sinistra alleati con i popolari, grande finanza, egemoniche élite intellettuali progressiste, tecno-eurocrati incistati nella potentissima burocrazia di Bruxelles – è quello della progressiva instaurazione di una liberticida e totalitaria dittatura liberal che escluda dalla governance gli Stati membri e soprattutto i relativi popoli, che favorisca la Grande Sostituzione con l’immigrazione, che instauri la più bieca censura su ogni opinione dissidente, che distrugga la famiglia e la morale tradizionale, un ostacolo, tra gli altri, è rappresentato dalla regola dell’unanimità: oggi certe decisioni possono essere assunte solo con il consenso di tutti i Paesi membri.
Nonostante sia aggirabile con trucchi e ricatti (le masochistiche sanzioni decise contro la Russia lo dimostrano) questa regola ha impedito finora l’instaurarsi di una “dittatura della maggioranza” dagli esiti tragici per il nostro Continente. Non per nulla il principio dell’unanimità è da tempo nel mirino degli eurocrati e dei vari nemici della libertà dei popoli. L’ultimo attacco è venuto dall’immarcescibile Romano Prodi, colui che aggredì la nostra indipendenza economica svendendo il fior fiore della nostra industria e della nostra finanza alle multinazionali straniere. “Con l’unanimità – si è lamentato costui – l’Europa è bloccata”. Menomale, diremmo noi. Secondo Prodi, l’unanimità sarebbe “nemica della democrazia”. Ma Prodi non chiese un nostro democratico responso quando ci introdusse a forza nell’euro, che tanti lutti addusse alla nostra economia, con i salari bloccati e il potere reale d’acquisto degli italiani diminuito (unico caso in Europa) a causa da quella sciagurata moneta senza stato.
Un’Unione privata del principio di unanimità, ad esempio, potrebbe imporre con meno intralci la sua inumana ideologia wokistaintrisa di cancel culture, potrebbe introdurre censure contro le opinioni non conformiste ancor più dure di quelle esistenti, potrebbe dare sfogo più facilmente al suo feroce bellicismo russofobico: una buona parte delle élite dell’Unione vuole, fortissimamente vuole scatenare una guerra con la Russia.
E c’è da chiedersi quale ratio ispiri quest’odio contro la Russia: non certo motivi geostrategici visto che la Russia non ha nessuna intenzione (e nessun bisogno) di attaccare l’Europa, di cui fa culturalmente parte. Non solo: come è stato osservato da molti, e non da oggi, un blocco eurasiatico, da Vladivostock a Lisbona, offrirebbe molteplici vantaggi geopolitici, economici, energetici. Consentirebbe di integrare le capacità industriali e finanziarie europee con l’abbondanza energetica, a basso costo, della Russia e la sua potenza militare. L’idea visionaria di Jean-François Thiriart e della sua Jeune Europedi un’Eurasia capace di respingere l’oppressione militare, politica e culturale degli USA potrebbe far sognare ancora molti.
La causa della russofobia dell’Unione e delle sue élite risiede forse nella sua opprimente ideologia anticristiana, immigrazionista, trans-omosessualista di “un mondo al contrario”, opposta alla scelta russa di fedeltà a un ordine morale cristiano e tradizionale.
L’ha ben capito un acuto intellettuale cattolico, Paolo Gulisano: “A voler continuare a tenere alta la tensione [con la Russia] c’è dunque l’Europa, e più precisamente l’asse anglo-franco-tedesco, con i progetti di riarmo e i proclami guerrafondai. Dovremmo quindi cominciare a fare dei precisi distinguo, e ad esempio non parlare più di “Occidente”. Ci sono diversi Occidenti, al plurale: un’America che con Trump sta cambiando, abbandonando la strada della Cancel Culture e delle agende iperprogressiste, e posizioni europee anche piuttosto differenziate. L’Europa peggiore è tuttavia quella dominante, della Von der Leyden, di Macron, di Starmer. Questa Europa odia profondamente la Russia, e bisognerebbe chiedersi il perché. Aveva un senso essere antagonisti della Russia ai tempi dell’Unione Sovietica, dell’impero comunista. Oggi l’Europa che odia la Russia, così come l’America di Biden, è quella della cultura woke, del gender, del politicamente corretto. Forse quello che dà più fastidio della Russia è la sua ritrovata religiosità, che la rende profondamente diversa dall’”Occidente” con i suoi stili di vita e su modelli politici che sono sempre più lontani da ideali di libertà e democrazia”.
Antonio de Felip
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