La giornata odierna rischia di consegnarci l’ennesimo spettacolo di piazze agitate, alimentate da due fattori diversi ma convergenti: l’arresto dei membri della cosiddetta flotilla e lo sciopero generale proclamato da Maurizio Landini, nonostante il divieto del Garante.
Il segnale che arriva dai sindacati è inequivocabile: non si dà ascolto all’autorità quando questa si interpone ai propri calcoli.
È la prova di un atteggiamento che privilegia la sfida e la contrapposizione rispetto al senso di responsabilità, con il rischio concreto di trasformare un dissenso legittimo in miccia per disordini potenzialmente pericolosi.
Ed è proprio questo il punto più grave: le piazze non sono innocue rappresentazioni sceniche, ma terreni in cui la tensione può facilmente degenerare in incidenti, con danni a persone e cose.
Ogni volta che si alimenta scientemente la protesta, si accetta il rischio che essa esploda in forme di violenza reale, con conseguenze che nessuno potrà poi fingere di non aver previsto.
Prova di forza
Chi risponde a questi richiami spesso è una folla eterogenea, composta da studenti pronti a sfogare una rabbia instillata più che maturata, da persone che rifiutano di accettare le regole del gioco democratico — quelle stesse regole che stabiliscono che chi perde le elezioni non può rovesciarne l’esito con la violenza — e, non di rado, da individui che vivono di scontri e di caos, autentici professionisti della violenza.
In questo scenario, la giornata di oggi non appare come l’espressione di una genuina rivendicazione popolare, ma come l’ennesima rappresentazione di un copione logoro: istituzioni sfidate, piazze incendiate a comando, e una parte politica che, incapace di convincere nelle urne, prova a forzare la mano nelle strade.
In conclusione, non resta che augurarsi che la giornata trascorra senza degenerazioni, che il diritto alla protesta non si trasformi in pretesto per disordini e che le regole della convivenza civile vengano rispettate da tutti.
La forza delle idee si misura nella capacità di convincere, non nella violenza.
Gianluca Mingardi
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