Pubblichiamo un’intervista rilasciataci da Hervé Van Laethem, per conto del movimento di patrioti belgi NATION. Cogliamo l’occasione per esprimere tutta la nostra solidarietà dal momento che NATION è stata sottoposta il 2 ottobre a perquisizioni e controlli da parte delle autorità di polizia, per orwelliani “crimini d’odio”.
Difendere la propria terra e il proprio popolo non può mai essere considerato un crimine.
Che in Belgio, a Bruxelles, siano i patrioti ad essere sottoposti a sorveglianza di polizia piuttosto che i frequentatori della moschea di Molenbeek e simili, è solo un ulteriore e gravissimo segno dell’attuale stato di decadenza dell’Europa.
La nostra redazione esprime la più incondizionata solidarietà al Signor Van Laethem e a tutti i militanti di NATION.
Versione italiana
- Il movimento Nation
Allora, Monsieur Hervé, vorrei innanzitutto chiederle di parlarci di NATION, il movimento politico che ha partecipato il 12 settembre a San Pietroburgo a un forum antiglobalista, che ha portato alla nascita di una lega internazionale di sovranisti.
NATION è nato 26 anni fa, nel mese di settembre. Abbiamo festeggiato questo anniversario proprio a San Pietroburgo. È un movimento che si voleva nazional-rivoluzionario, di “terza via” come si diceva, e che ha sempre cercato di posizionarsi su tre direttrici: formazione, attivismo e anche elettoralismo, se necessario.
Per noi è importante avere tutti e tre questi pilastri per condurre al meglio una lotta politica.
A livello di formazione e attivismo, ha sempre funzionato bene. A livello elettorale, i risultati sono stati medi: i migliori sono stati tra il 3 e il 5%, ma in Belgio, con le regole elettorali, non si ottiene visibilità se non si supera almeno il 5%.
Però per noi era secondario. Partecipare serviva a far parlare di sé, reclutare persone, formarle, e mostrare che c’è altro oltre alle elezioni.
Abbiamo partecipato a molte attività, siamo finiti spesso sui giornali, ci sono stati alti e bassi.
Onestamente, dal 2022 eravamo un po’ in attesa, fermi, ma da qualche settimana, da qualche mese, stiamo riprendendo.
Solo una cosa per il pubblico italiano: siete attivi soprattutto nella parte francofona del Belgio, giusto? Bruxelles e la Vallonia?
Sì, esattamente. A Bruxelles e in Vallonia.
A un certo punto abbiamo collaborato anche con movimenti radicali fiamminghi, ma oggi non esistono quasi più. Il partito populista Vlaams Belang controlla quasi tutto, e si è allontanato molto dalle nostre idee; quindi, diventa difficile averci a che fare.
Sono diventati un po’ come il Rassemblement National in Francia, forse?
Sì, si può fare questo paragone. Anche se Marine Le Pen, economicamente, ha un programma che è un po’ a sinistra, mentre loro sono molto liberali, molto a destra, molto pro-israeliani, molto pro-sionisti.
- Bruxelles come simbolo
Solo una cosa prima di arrivare all’esperienza russa: avete la sede a Bruxelles, che è una città particolare, perché ospita le grandi istituzioni europee, i palazzi della burocrazia europea. E allo stesso tempo è forse la città più sommersa dall’immigrazione di massa in Europa.
È un po’ una città simbolo del processo di perdita delle identità europee: da un lato l’immigrazione che sommerge le città, dall’altro il centro del potere sovranazionale che dirige le politiche europee.
Come vivete la vostra esperienza politica identitaria in una città come Bruxelles?
L’esempio che mi date mi fa pensare a Washington, negli Stati Uniti. C’è la città di Washington e poi Washington DC, dove ci sono tutte le istituzioni, è iper-sicura, molto “bianca”, mentre tutto intorno è pericoloso e molto multiculturale.
A Bruxelles è più o meno lo stesso: c’è il quartiere europeo, dove ci sono le istituzioni, è sicuro e molto borghese, in tutti i sensi negativi del termine.
E poi c’è il resto della città, che è diventata multiculturale.
È chiaro che la maggioranza della popolazione di Bruxelles non è più europea.
È un simbolo terribile della lotta identitaria.
Cinquant’anni fa, i nazionalisti fiamminghi manifestavano a Bruxelles per mantenere l’identità fiamminga, che veniva sommersa dai francofoni.
Oggi, non ci sono quasi più fiamminghi a Bruxelles, e anche i francofoni belgi sono sempre meno.
Bruxelles è uno dei peggiori esempi che si possano dare, sì, in effetti.
- Esperienza a San Pietroburgo
Per arrivare alla Russia: come ha trovato San Pietroburgo, semplicemente come città, come grande città russa, ex capitale dell’Impero russo, seconda città della Russia?
Qualcuno ci dice: “Sì, ma il problema è che la Russia non è davvero Europa.”
Io, nelle strade di San Pietroburgo, mi sono sentito più in Europa che nelle strade di Bruxelles o Parigi.
È particolare, perché alcune critiche da destra accusano la Russia di essere multiculturale, multirazziale, di promuovere una certa propaganda.
Ma lei ci dice che non si ha questa impressione passeggiando per le strade di una città come San Pietroburgo, giusto?
Almeno per ora, sì.
È chiaro che la Russia è un caso particolare. È un ex impero.
Hanno, nel sud, regioni come il Daghestan, l’Ossezia del Nord, ecc., dove ci sono persone di origine non europea.
Ma c’è comunque una grande differenza con l’Europa occidentale: queste persone sono considerate cittadini russi, poiché storicamente conglobate nell’impero e in secondo luogo, le città russe sono sicure.
Inoltre, in terzo luogo, se capite cosa intendo, ognuno sta al proprio posto e ci resta. Questo è molto diverso.
A volte ci sono paesi che, per la loro storia, non riescono a evitare che la loro società diventi “multi-qualcosa”.
Ma nel frattempo, le cose stanno al loro posto. È molto diverso dall’Europa.
E soprattutto, le persone che sono lì sono quelle provenienti dalle ex repubbliche sovietiche. Non sono immigrati.
Non ci sono milioni di clandestini che entrano ogni anno in Russia, credetemi. Non è facile entrare. È molto diverso.
- Rapporto con il passato sovietico
Un’altra critica che si fa alla Russia di Putin oggi è quella di essere una potenza forse neo-sovietica, di promuovere la glorificazione del 9 maggio, le bandiere dell’Armata Rossa, ecc.
Eppure, a San Pietroburgo, avete partecipato ad una Processione della Croce in onore di Sant’Alessandro Nevskij.
Avete respirato nostalgia per il periodo sovietico in Russia? Che rapporto avete percepito tra il popolo russo e il passato comunista durante questo tipo di evento?
Come ho detto anche al mio ritorno, il comunismo non è più al potere. Questo è evidente.
Ora, per essere onesti, penso che abbiano mantenuto una certa nostalgia per l’Impero russo.
E quando si usa il termine “Impero sovietico”, non è nel senso del comunismo, ma nel senso che la Russia era più grande, aveva più dominio, ecc.
Penso che se negli ultimi 25 anni la NATO e l’Unione Europea non avessero cercato di accerchiare la Russia, di indebolirla, senza cambiare il regime, oggi la Russia avrebbe messo da parte tutto questo.
Dal momento in cui si è sentita accerchiata e minacciata, ha ripreso certe abitudini.
Ora, che dei soldati russi oggi agiscano sotto bandiere rosse, penso sia più per nostalgia militare che per nostalgia sovietica.
Di quelle bandiere, francamente, potrei farne a meno.
Non sono qui per difendere il regime di Putin. Non era un raduno di sostegno a lui.
E tra l’altro, il forum non parlava nemmeno della guerra in Ucraina, né delle operazioni militari.
È un altro argomento.
Che il regime di Putin sia perfetto? Non conosco regimi perfetti.
Ma oggi, penso che, per buone o cattive ragioni, sia una delle poche forze che può opporsi al mondialismo.
- Obiettivi della conferenza di San Pietroburgo
Qual era lo scopo della partecipazione di NATION alla conferenza di San Pietroburgo?
Penso che questo forum sia solo la conclusione di una serie di incontri e discussioni tra varie organizzazioni nazionaliste che volevano trovare un modo efficace per combattere il mondialismo.
Le forze mondialiste sono molto potenti: a livello di propaganda, di media, di influenza, di risorse.
È emerso che uno dei modi più efficaci è lavorare in coordinamento con tutti coloro che, non solo in Europa, ma anche altrove nel mondo — in Sud Africa, per esempio — sono molto attivi. Questo era il primo obiettivo.
Il secondo: noi abbiamo una coerenza. Ci si può criticare per molte cose, ma non per cambiare continuamente idea. Vent’anni fa, io e altri avevamo organizzato una conferenza a Bruxelles con Aleksandr Dugin.
Vent’anni dopo, mi ritrovo a San Pietroburgo con Aleksandr Dugin.
Non significa che NATION sia rimasta ferma, ma che già vent’anni fa avevamo capito che la Russia, non più comunista, poteva avere interesse a dialogare con l’Europa.
Non per tornare alla Guerra Fredda, che è servita soprattutto agli americani per imporsi in Europa dell’Est e nel mondo, in nome dell’anticomunismo.
Il comunismo è stato un pericolo, certo, ma non ha impedito agli americani di negoziare spesso con i comunisti e di non cercare mai davvero di distruggerli, tranne quando erano in America Latina, che era il loro “giardino di casa”.
- Conclusione e posizione personale
Vent’anni fa, abbiamo capito che bisognava cercare terreni comuni con la Russia, perché era naturale.
Oggi ancora di più, alcune forze vogliono spingerci in una guerra non per valori umani, ma per motivi economici, di crescita, di finanziamento, per arricchire il complesso militare-industriale e questo non lo vogliamo.
Non abbiamo problemi a parlare con chiunque. Non abbiamo nulla contro il popolo ucraino, ma non validiamo certe cose e come dicevo, non siamo lì per dire che Putin è una superstar.
Ma ci tengo a dire che non sarò mai nel campo di Ursula von der Leyen, Macron o Bernard-Henri Lévy.
Questo è certo.
- La Lega Internazionale dei Sovranisti
Ultima domanda: la conferenza si è conclusa con la costituzione della Lega Internazionale dei Sovranisti.
Quali sono gli obiettivi di questa Lega? Come vede la partecipazione di NATION?
Penso che il primo obiettivo sia contrastare la narrazione dominante nei paesi occidentali.
NATION e le altre organizzazioni devono servire a questo: propagare un’altra voce.
Non diciamo di avere la verità assoluta, ma bisogna dire: “Attenzione, le cose non sono come ve le raccontano.”
Poi, con l’esperienza, bisogna iniziare a coordinarsi, scambiarsi informazioni pubbliche.
- Saluto al pubblico italiano
Ultima cosa per concludere: un saluto al pubblico italiano?
Sono stato spesso in Italia.
Ho conosciuto tutti gli aspetti del nazionalismo e della militanza italiana.
Ho sempre ammirato il livello culturale e l’impegno.
Da sei anni, il nostro campo di formazione si chiama Campo Hobbit, in omaggio ai campi Hobbit italiani degli anni ’80, che riunivano centinaia di persone.
È formazione politica, ma anche culturale.
Quando vedo gli artisti italiani, come i Figli del Vento e altri gruppi… Sono bravi.
È questo che fa sì che, nonostante tutto, ci siano ancora militanti nazional-rivoluzionari in Italia.
Perché non è solo impegno politico, ma anche culturale e questo è importante, ed è per questo, ovviamente, che si tratta di un elemento particolare di quella mentalità presente in Italia, che è ancora viva in molti gruppi, fortunatamente.




















Versione Francese
Le mouvement NATION
Alors, Monsieur Hervé, j’aimerais tout d’abord vous demander de nous parler de NATION, le mouvement politique qui a participé le 12 septembre à Saint-Pétersbourg à un forum anti-mondialiste, lequel a conduit à la création d’une ligue internationale de souverainistes.
NATION est né il y a 26 ans, au mois de septembre. Nous avons célébré cet anniversaire justement à Saint-Pétersbourg. C’est un mouvement qui se voulait national-révolutionnaire, de “troisième voie” comme on disait, et qui a toujours cherché à se positionner selon trois axes : la formation, l’activisme et aussi l’électoralisme, si nécessaire.
Pour nous, il est important d’avoir ces trois piliers pour mener au mieux un combat politique.
En termes de formation et d’activisme, cela a toujours bien fonctionné. Sur le plan électoral, les résultats ont été moyens : les meilleurs ont été entre 3 et 5 %, mais en Belgique, avec les règles électorales, on n’obtient pas de visibilité si l’on ne dépasse pas au moins les 5 %. Mais pour nous, c’était secondaire. Participer servait à faire parler de nous, à recruter des personnes, à les former, et à montrer qu’il existe autre chose au-delà des élections.
Nous avons participé à de nombreuses activités, nous avons souvent fait la une des journaux, il y a eu des hauts et des bas.
Honnêtement, depuis 2022, nous étions un peu en attente, à l’arrêt, mais depuis quelques semaines, quelques mois, nous reprenons du mouvement.
Juste une chose pour le public italien : vous êtes surtout actifs dans la partie francophone de la Belgique, n’est-ce pas ? Bruxelles et la Wallonie ?
Oui, exactement. À Bruxelles et en Wallonie.
À un certain moment, nous avons aussi collaboré avec des mouvements radicaux flamands, mais aujourd’hui ils n’existent presque plus. Le parti populiste Vlaams Belang contrôle presque tout, et il s’est beaucoup éloigné de nos idées ; donc, il devient difficile d’avoir des relations avec eux.
Ils sont devenus un peu comme le Rassemblement National en France, peut-être ?
Oui, on peut faire ce parallèle. Même si Marine Le Pen, sur le plan économique, a un programme un peu à gauche, tandis qu’eux sont très libéraux, très à droite, très pro-israéliens, très pro-sionistes.
Bruxelles comme symbole
Juste une chose avant d’aborder l’expérience russe : vous avez votre siège à Bruxelles, qui est une ville particulière, car elle abrite les grandes institutions européennes, les palais de la bureaucratie européenne. Et en même temps, c’est peut-être la ville la plus submergée par l’immigration de masse en Europe.
C’est un peu une ville symbole du processus de perte des identités européennes : d’un côté, l’immigration qui submerge les villes, de l’autre, le centre du pouvoir supranational qui dirige les politiques européennes.
Comment vivez-vous votre expérience politique identitaire dans une ville comme Bruxelles ?
L’exemple que vous me donnez me fait penser à Washington, aux États-Unis. Il y a la ville de Washington et puis Washington DC, où se trouvent toutes les institutions, c’est hyper-sécurisé, très “blanc”, tandis que tout autour est dangereux et très multiculturel.
À Bruxelles, c’est plus ou moins pareil : il y a le quartier européen, où se trouvent les institutions, c’est sûr et très bourgeois, dans tous les sens négatifs du terme.
Et puis il y a le reste de la ville, qui est devenue multiculturelle.
Il est clair que la majorité de la population de Bruxelles n’est plus européenne.
C’est un symbole terrible du combat identitaire.
Il y a cinquante ans, les nationalistes flamands manifestaient à Bruxelles pour préserver l’identité flamande, qui était submergée par les francophones.
Aujourd’hui, il n’y a presque plus de Flamands à Bruxelles, et même les francophones belges sont de moins en moins nombreux.
Bruxelles est l’un des pires exemples que l’on puisse donner, oui, en effet.
Expérience à Saint-Pétersbourg
Pour en venir à la Russie : comment avez-vous trouvé Saint-Pétersbourg, simplement en tant que ville, comme grande ville russe, ancienne capitale de l’Empire russe, deuxième ville du pays ?
Certains nous disent : « Oui, mais le problème, c’est que la Russie n’est pas vraiment l’Europe. »
Moi, dans les rues de Saint-Pétersbourg, je me suis senti plus en Europe que dans les rues de Bruxelles ou de Paris.
C’est particulier, car certaines critiques venant de la droite accusent la Russie d’être multiculturelle, multiraciale, de promouvoir une certaine propagande.
Mais vous nous dites que l’on n’a pas cette impression en se promenant dans les rues d’une ville comme Saint-Pétersbourg, n’est-ce pas ?
Du moins pour l’instant, oui.
Il est clair que la Russie est un cas particulier. C’est un ancien empire.
Ils ont, dans le sud, des régions comme le Daghestan, l’Ossétie du Nord, etc., où vivent des personnes d’origine non européenne. Mais il y a tout de même une grande différence avec l’Europe occidentale : ces personnes sont considérées comme des citoyens russes, car historiquement intégrées à l’empire. Et ensuite, les villes russes sont sûres.
De plus, troisièmement, si vous voyez ce que je veux dire, chacun reste à sa place. C’est très différent.
Parfois, certains pays, en raison de leur histoire, ne peuvent pas éviter que leur société devienne « multi-quelque chose ».
Mais en attendant, les choses restent à leur place. C’est très différent de l’Europe.
Et surtout, les personnes qui sont là viennent des anciennes républiques soviétiques. Ce ne sont pas des immigrés.
Il n’y a pas des millions de clandestins qui entrent chaque année en Russie, croyez-moi. Ce n’est pas facile d’y entrer. C’est très different.
Rapport au passé soviétique
Une autre critique adressée à la Russie de Poutine aujourd’hui est celle d’être une puissance peut-être néo-soviétique, de promouvoir la glorification du 9 mai, les drapeaux de l’Armée rouge, etc.
Et pourtant, à Saint-Pétersbourg, vous avez participé à une procession de la Croix en l’honneur de Saint Alexandre Nevski.
Avez-vous ressenti une nostalgie de la période soviétique en Russie ? Quel rapport avez-vous perçu entre le peuple russe et le passé communiste lors de ce type d’événement ?
Comme je l’ai dit à mon retour, le communisme n’est plus du tout au pouvoir. C’est évident.
Maintenant, pour être honnête, je pense qu’ils ont conservé une certaine nostalgie de l’Empire russe.
Et quand on utilise le terme “Empire soviétique”, ce n’est pas dans le sens du communisme, mais dans le sens où la Russie était plus grande, avait plus de domination, etc.
Je pense que si, au cours des 25 dernières années, l’OTAN et l’Union européenne n’avaient pas cherché à encercler la Russie, à l’affaiblir, sans changer le régime, aujourd’hui la Russie aurait mis tout cela de côté.
À partir du moment où elle s’est sentie encerclée et menacée, elle a repris certaines habitudes.
Maintenant, que des soldats russes agissent aujourd’hui sous des drapeaux rouges, je pense que c’est davantage par nostalgie militaire que par nostalgie soviétique.
Ces drapeaux, franchement, je pourrais m’en passer.
Je ne suis pas ici pour défendre le régime de Poutine. Ce n’était pas un rassemblement de soutien à lui.
D’ailleurs, le forum ne parlait même pas de la guerre en Ukraine, ni des opérations militaires.
Que le régime de Poutine soit parfait ? Je ne connais pas de régimes parfaits.
Mais aujourd’hui, je pense que, pour de bonnes ou de mauvaises raisons, c’est l’une des rares forces capables de s’opposer au mondialisme.
Objectifs de la conférence de Saint-Pétersbourg
Quel était le but de la participation de NATION à la conférence de Saint-Pétersbourg ?
Je pense que ce forum n’était que la conclusion d’une série de rencontres et de discussions entre diverses organisations nationalistes qui cherchaient un moyen efficace de combattre le mondialisme.
Les forces mondialistes sont très puissantes : en termes de propagande, de médias, d’influence, de ressources.
Il est apparu que l’un des moyens les plus efficaces est de travailler en coordination avec tous ceux qui, non seulement en Europe, mais aussi ailleurs dans le monde — en Afrique du Sud, par exemple — sont très actifs. C’était le premier objectif.
Le second : nous avons une cohérence. On peut nous critiquer sur beaucoup de choses, mais pas sur le fait de changer constamment d’avis. Il y a vingt ans, moi et d’autres avions organisé une conférence à Bruxelles avec Aleksandr Douguine.
Vingt ans plus tard, je me retrouve à Saint-Pétersbourg avec Aleksandr Douguine.
Cela ne signifie pas que NATION est resté figé, mais que déjà il y a vingt ans, nous avions compris que la Russie, n’étant plus communiste, pouvait avoir un intérêt à dialoguer avec l’Europe.
Pas pour revenir à la Guerre froide, qui a surtout servi aux Américains pour s’imposer en Europe de l’Est et dans le monde, au nom de l’anticommunisme.
Le communisme a été un danger, certes, mais cela n’a pas empêché les Américains de négocier souvent avec les communistes et de ne jamais vraiment chercher à les détruire, sauf lorsqu’ils étaient en Amérique latine, qui était leur “arrière-cour”.
Conclusion et position personnelle
Il y a vingt ans, nous avions compris qu’il fallait chercher des terrains d’entente avec la Russie, car cela allait de soi.
Aujourd’hui, c’est encore plus vrai : certaines forces veulent nous pousser dans une guerre non pas pour des valeurs humaines, mais pour des raisons économiques, de croissance, de financement, pour enrichir le complexe militaro-industriel — et cela, nous ne le voulons pas.
Nous n’avons aucun problème à dialoguer avec qui que ce soit. Nous n’avons rien contre le peuple ukrainien, mais nous ne validons pas certaines choses et, comme je l’ai dit, nous n’étions pas là pour dire que Poutine est une superstar.
Mais je tiens à dire que je ne serai jamais dans le camp d’Ursula von der Leyen, de Macron ou de Bernard-Henri Lévy.
Ça, c’est certain.
La Ligue Internationale des Souverainistes
Dernière question : la conférence s’est conclue par la création de la Ligue Internationale des Souverainistes.
Quels sont les objectifs de cette Ligue ? Comment voyez-vous la participation de NATION ?
Je pense que le premier objectif est de contrer le récit dominant dans les pays occidentaux.
NATION et les autres organisations doivent servir à cela : diffuser une autre voix.
Nous ne prétendons pas détenir la vérité absolue, mais il faut dire : « Attention, les choses ne sont pas telles qu’on vous les raconte. »
Ensuite, avec l’expérience, il faut commencer à se coordonner, à échanger des informations publiques.
Salutation au public italien
Dernière chose pour conclure : un salut au public italien ?
Je suis allé souvent en Italie.
J’ai connu tous les aspects du nationalisme et du militantisme italien.
J’ai toujours admiré le niveau culturel et l’engagement.
Depuis six ans, notre camp de formation s’appelle Campo Hobbit, en hommage aux camps Hobbit italiens des années 80, qui réunissaient des centaines de personnes.
C’est une formation politique, mais aussi culturelle.
Quand je vois les artistes italiens, comme les Figli del Vento et d’autres groupes… Ils sont doués.
C’est cela qui fait que, malgré tout, il y a encore des militants nationaux-révolutionnaires en Italie.
Parce que ce n’est pas seulement un engagement politique, mais aussi culturel — et cela est important.
Et c’est pour cela, évidemment, que cela constitue un élément particulier de cette mentalité présente en Italie, qui est encore bien vivante dans de nombreux groupes, heureusement.
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