Non fu una vittoria di un regno o di uno Stato: fu il trionfo della nostra Civiltà cristiana contro un nemico crudele che il nostro continente ha sempre rigettato perché incompatibile.
La minaccia islamica – a distanza di secoli – non è però svanita e il monito di Lepanto deve farci ricordare chi siamo: europei e cristiani, anzitutto. Ma anche chi sono i nemici di quello scontro epico: un popolo estraneo alla nostra Tradizione e una religione di schiavitù e sottomissione. Lepanto non è stata l’utopia di uno stato unico d’Europa: essa ha rappresentato l’unità d’intenti e di valori di una medesima Civiltà che – con coraggio e fermezza – ha respinto l’invasore per preservare la propria identità.
Che cosa ci comunica e che cosa ci rammenta questa grande battaglia? Le anime spezzate e i cuori fatti a pezzi tra le acque macchiate del sangue cristiano e islamico, il legno scheggiato e la polvere da sparo nell’aria, l’acciaio delle spade smussato dalla tanta carne trafitta. L’autore Stefano Banti attraverso un’attenta analisi militare, i cui dettagli restano ancora sconosciuti al grande pubblico, richiama il vero significato di una battaglia carica di virile coraggio e di fedeltà a Dio. Un vero e proprio inno alla Fede e alla terra patria, all’onore cavalleresco e al poetico eroismo, alla virtù e alla vittoria.
Le Grandi Vittorie
Lepanto come Poitiers, Vienna, Malta e Gerusalemme, sono le grandi vittorie della nostra Civiltà. Cosa le accomuna? Anzitutto, il medesimo avversario. Una minaccia che – seppur con forme differenti e fuori da ogni retorica spicciola – si ripresenta oggi per mezzo dell’invasione migratoria incontrollata, del terrorismo salafita e della criminalità diffusa nelle “no go zone” che infestano il nord Europa. Un fatto che molti negano o fanno finta di non vedere, dimenticando di non conoscere o di voler addirittura cancellare la nostra storia: è infatti grottesco che – nel cuore della Civiltà che l’ha ripetutamente battuto sul campo – si debba fare i conti con un’islamizzazione crescente e radicale, spesso avallata da un’élite progressista incapace di comprenderne i rischi.
Occorre dunque ritornare in se stessi per recuperare il senso specifico delle nostre radici. Per essere europei. In tal senso anche inconsciamente, non si può non essere cristiani: non è un fattore puramente confessionale ma culturale e storico. Negli angoli delle nostre strade ci guardano le Madonne mentre le chiese si ergono verticalmente nei centri storici delle città e dei borghi.
Custodire la Civiltà
Se a Lepanto i nostri antenati sono stati chiamati a scegliere tra il combattimento fisico e la dissoluzione dinanzi all’Islam, oggi siamo chiamati a scegliere cosa fare della nostra Europa: abbiamo ancora la volontà di custodire e trasmettere il retaggio di una Civiltà plurimillenaria plasmata dai nostri padri sotto il segno della croce e della spada?
Se si, quale Europa vogliamo? Quella di Lepanto, dei pellegrinaggi, dei sentieri, delle chiese, delle cattedrali, dei castelli, degli artigiani, dei costruttori, dei coltivatori e dei capitani che hanno consegnato i vessilli del nemico agli altari oppure quella della sostituzione etnica e religiosa, della sottomissione alla Sharia, delle banche e delle multinazionali dissanguatrici dei popoli? Facciamo ancora parte della Civiltà che seppe abbracciare il messaggio di Colui che cacciò i mercanti dal Tempio? La scelta è ancora questa: Lepanto ne è l’esempio più cristallino.
L’Europa di Lepanto c’è stata ed è esistita: abbiamo vinto allora e possiamo farlo oggi. I giovani d’Europa sono chiamati a non arrendersi, a rinsaldare le coscienze e gli animi, a lottare proiettati verso un bene più grande e più nobile. È questo il monito che dobbiamo cogliere da questa epica battaglia: non smarriamone il significato perché ne va del destino dell’Europa. Un destino non differente da quello di chi si ritrovò in quel turbinio di cannonate: dal comandante al più comune soldato spagnolo, veneziano, toscano, romano, sardo, genovese, siciliano, portoghese e olandese. Ricordiamo l’eroismo dei nostri padri, i moniti, gli esempi e gli insegnamenti. Del resto, come diceva Don Giovanni D’Austria, comandante supremo a soli 25 anni:
Don Giovanni D’Austria
“la causa principale che rende gli uomini così maldisposti e deboli d’animo è, lo so bene, il loro comportamento dissoluto, la disattenzione alla propria anima, la coscienza facile”.
Da quelle acque passò la storia e l’identità che ancora oggi ci scorre nelle vene e nel cuore. Passò l’esempio degli eroi giacché vi combatterono i poeti e i guerrieri d’Europa come Miguel De Cervantes: l’uomo che col suo Don Chisciotte avrebbe versato la più autentiche lacrime sull’ideale cavalleresco. Perse la mano sinistra e fu colpito al petto da un’archibugiata:
“Con una mano afferravo la spada, e il sangue correva giù dall’altra. La sinistra era già lì, spezzata in mille parti. Ma il giubilo che mi prese l’anima vedendo vinto il crudele popolo infedele da quello cristiano fu tale che non capivo se ero ferito davvero”.
Gregorio Banti
La Vittoria di Lepanto. La storia militare del 7 ottobre 1571. Di Stefano Banti. Passaggio al Bosco
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