Come è possibile, una volta venuti a conoscenza della sua pubblicazione, non acquistare, leggere e pubblicizzare un libro che ha il seguente, intrigante e provocatorio titolo: Anche i fascisti hanno diritti ? E con un primo sottotitolo: Settant’anni di processi al Saluto Romano (maiuscole nel testo)? E il cui secondo sottotitolo è: Spunti per l’autodifesa e la difesa dell’imputato fascista ? E che ha come Editore la Fondazione Memoria Predappio ? E che in copertina mostra la foto di un pellegrino in camicia nera che esibisce un saluto romano alla tomba e al busto di Mussolini?
E un libro il cui autore è un giovane e coraggioso avvocato forlivese che ha difeso una cinquantina di imputati e indagati in vari processi con ipotesi di reato legate alle Leggi Scelba e Mancino, ottenendo sempre l’archiviazione di ogni accusa? E che, impegnato in ruoli apicali nelle di file di Fratelli d’Italia in Romagna, se ne è ritratto nel 2020 “non condividendo – come scritto nella sua biografia in calce al volume – la deriva centrista e filomassonica di Giorgia Meloni” ? E che ha promosso, con il professor Franco Cardini, convegni storici sul fascismo e varie mostre storico-documentarie sullo stesso tema? E che, infine – e qui, in chi scrive, l’apprezzamento diventa un ancor più profondo idem sentire – si dichiara cattolico tradizionalista e fedele all’insegnamento di monsignor Marcel Lefebvre?
Se volete, ignorate pure gli ovviamente criticabilissimi frisson nostalgici dell’autore della recensione che state leggendo; però prendete nota che Anche i fascisti hanno diritti è un gran bel libro che sa ben bilanciare la narrazione storico-politica con le argomentazioni afferenti al diritto penale e, prima ancora, a quello costituzionale. E dove la passione ideale dell’Autore non scalfisce la razionalità sillogistica dell’analisi giuridica e giudiziaria. E il tutto senza che il testo, pur scientificamente ben fondato, appaia come un annoiante manuale di tecnica processuale; ma, se si vuole, può essere anche un utile ausilio, come recita il sottotitolo, alle vittime – e anche ai loro avvocati – delle liberticide leggi Scelba e Mancino: la prosa, nonostante gli inevitabili tecnicismi, rimane scorrevole, leggibilissima e anche appassionante.
Il testo ci rammenta fatti assai interessanti: non tutti sanno che la sciagurata XII disposizione della Costituzione che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista (stracitata da molti per dimostrare, senza riuscirvi, che questa è una costituzione “antifascista”, ma dimentichi che tale disposizione reca nel titolo l’inequivocabile aggettivo “transitoria” che ne avrebbe dovuto segnare il destino ormai da decenni) fu imposta, unitamente a molte altre ingiunzioni, vessatorie e umilianti, dai cosiddetti “liberatori” con il maledetto Armistizio di Cassibile (più precisamente dall’articolo 30 del cosiddetto “Armistizio lungo”) accettato da Badoglio e dal fuggiasco re sciaboletta. Tale diktat, una resa senza condizioni, imponeva la consegna alle “Nazioni Unite” di Benito Mussolini e dei suoi “principali associati fascisti”, lo scioglimento di tutte le organizzazioni fasciste, l’abolizione delle istituzioni fasciste e anche “il licenziamento ed internamento del personale fascista, il controllo di fondi fascisti, la soppressione della ideologia e dell’insegnamento fascista”. Già si prevedeva la costituzione di campi di concentramento, come quello famigerato di Coltano e molti altri sparsi per l’Italia, in cui rinchiudere, torturare e affamare migliaia di uomini e donne sopravvissute alla grande mattanza operata dai partigiani nel ’45. Commenta Francesco Minutillo: “Si trattava di una norma che sprizzava odio, ribrezzo e repulsione nei riguardi di tutto ciò che era legato o era emanazione dell’esperienza fascista e che dunque andava represso, abolito e cancellato. Anzi: il personale, gli iscritti ed i comuni cittadini, rei della semplice colpa di essere stati legati al Fascismo, avrebbero dovuto essere addirittura “internati”: un termine subdolo ed ipocrita per definire la costituzione di campi di concentramento”. Ancora prima della dell’unico riferimento al Fascismo della “costituzione più bella del mondo”, la transitoria XII disposizione, vi era stato il Decreto Legislativo Luogotenenziale (perché firmato da Umberto, all’epoca Luogotenente del Regno) del 26 aprile 1945 che vietava la ricostituzione del Partito e l’attività fascista (ma solo con atti di violenza e minaccia). Anche il terribile Trattato di Pace di Parigi del febbraio del 1947, quello contro cui Benedetto Croce si scagliò con veemenza in un famoso discorso alla Costituente, prevedeva una clausola, poi abrogata, circa la rinascita delle organizzazioni fasciste. E una nuova legge repressiva venne approvata dalla Costituente nel gennaio 1948. Insomma la famigerata Legge Scelba, la cui emanazione aveva anche lo scopo di chiarire i molti dubbi giuridici riguardo alle precedenti disposizioni, trovava la sua causa diretta non solo nell’odio degli antifascisti vincitori grazie alle armi degli Alleati, ma anche nell’ideologico desiderio di vendetta di questi ultimi.
Giungiamo dunque a questa legge, la 645 del 20 giugno 1952, grazie alla quale le DC di Scelba puntava anche a eliminare per via giudiziaria, senza però mai riuscirsi, uno scomodo concorrente elettorale alla sua destra: il MSI.
Francesco Minutillo ce la presenta attraverso l’argomentata analisi di Giorgio Almirante che, contro questa legge, tenne un durissimo ma politicamente e giuridicamente assai fondato discorso alla Camera, richiamandone l’origine nello sciagurato Trattato di Pace; una legge che rappresentava un atto di supina obbedienza alle potenze vincitrici. Almirante inoltre: “pose delle questioni appartenenti alla immediata e più sincera logica giuridica che denotavano l’incompatibilità della legge Scelba con la ratio della Costituzione”. E non solo con la ratio, ma anche con gli articoli 18 (“libertà di associazione”) e 21 (“libertà di manifestare il proprio pensiero”). Una legge, argomentò il deputato missino, ispirata all’assurdo principio “Libertà a tutti, tranne ai fascisti”. E la definì “inutile, iniqua, nefasta”, augurandosi, riguardo al “nefasta”, di essere “falso profeta”. Commenta Minutillo: “Non poteva immaginare che ottant’anni dopo quella stessa legge avrebbe continuato ad avvelenare il paese, ad essere applicata con intenti persecutori nei confronti di alcune categorie di cittadini e a trovare ampio spazio nell’ambito del dibattito sociale creando solchi e barricate.”Criticata, sotto vari aspetti, da molti e illustri giuristi, la legge Scelba venne presto sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale riguardo alla sua compatibilità costituzionale rispetto ai principi fondamentali. Presidente della Corte era, all’epoca, Enrico De Nicola che era stato, dal giugno 1946 al maggio 1948, prima Capo Provvisorio dello Stato e poi Presidente della Repubblica. La Corte non poteva certo cancellare la legge appena promulgata nonostante emergessero chiaramente tutte le sue incongruenze: la Corte quindi la salvò, ma, al contempo, scrive Minutillo, la legge “si ritrovò seriamente ridimensionata nei termini in cui è poi è sempre stata conosciuta ed è tuttora applicata.” Emblematica, ad esempio, è la contestualizzazione operata dalla Consulta riguardo all’apologia del Fascismo che, scrive la sentenza: “per assumere carattere di reato, deve consistere non in una difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da poter condurre alla riorganizzazione del partito fascista. Ciò significa che deve essere considerata non già in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione”.
Il secondo pilastro dell’apparato liberticida e repressivo costruito dall’antifascismo istituzionale e militante è la Legge Mancino del 1993, che fu preceduta dalla Legge Reale del 1975, entrambe volte a colpire il cosiddetto razzismo. Anche queste norme sono, per via diretta o indiretta, configurabili come “importazioni”, se non imposizioni, dei poteri forti mondialisti, in questo caso l’Onu che, su ispirazione sia di stati africani neo-indipendenti e motivati rancore anticolonialista, sia da stati comunisti e terzomondisti, aveva approvato, attraverso vari passi e lunghe discussioni, il 21 dicembre 1965 una Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale che, richiamandosi alla solita ideologia dei “diritti umani”, “all’uguaglianza e alla dignità di tutti gli esseri umani” e a tutti gli altri paraphernalia tipicamente onusiani, prevedeva, nel suo articolo 4, ancora oggi non accettato da tutti gli Stati e tra questi anche gli Stati Uniti, che i sottoscrittori – l’Italia aderì nel 1968 – considerassero “crimini punibili dalla legge ogni diffusione di idee basate sulla superiorità o sull’odio razziale” e a dichiarare illegali e a vietare le organizzazioni che propagandano queste idee e addirittura “a dichiarare reato punibile dalla legge la partecipazioni a tali organizzazioni”.
La Convenzione onusiana venne recepita nell’ordinamento italiano con la Legge Reale (Oronzo Reale era il ministro di Grazia e Giustizia dell’epoca, proveniente dal Partito Repubblicano) del 1975 che prevedeva la condanna della diffusione di “idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale”. Commenta Minutillo: “Si trattava di un reato d’opinione: venivano sanzionate le condotte di chi osava esprimere una idea e anzi di farne pubblica diffusione”. E ancora: “veniva dunque sancito il divieto di libera associazione dei cittadini”.
Nel giugno 1993 la Legge Reale veniva aggiornata in peius con la nuova e ancor più liberticida Legge Mancino (da Nicola Mancino, della sinistra democristiana), tutt’ora in essere. Oltre alle pene già previste dalla legge Reale la nuova legge prevedeva sanzioni accessorie decisamente afflittive, oppressive e persecutorie, quale l’obbligo di prestare attività non retribuita, l’obbligo di rientrare nella propria abitazione entro un’ora predeterminata e la sospensione della patente di guida, del passaporto e di altri documenti validi per l’espatrio. Anche nella Legge Mancino era espressamente previsto lo scioglimento di associazioni o organizzazioni ritenute “razziste”. E’ politicamente interessante segnalare che la legge venne approvata con il voto favorevole di tutto il cosiddetto “arco costituzionale”. Il MSI si astenne, con un solo voto contrario. Riguardo a questa benevola astensione, inesplicabile per molti militanti di destra dell’epoca che si attendevano una ben più decisa opposizione, chiosa Francesco Minutillo: “Non stupisca l’astensione del MSI: siamo nel giugno del 1993 e il partito, già a guida finiana, pochi mesi dopo avrebbe iniziato il suo sfaldamento valoriale in Alleanza Nazionale. […] Erano lontani i tempi in cui Giorgio Almirante lottava come un leone nelle aule parlamentari. Era già cominciato il declino della destra storica italiana.” Occorre altresì ricordare che nel 2018 venne vieppiù appesantito l’apparato repressivo della legge con la condanna della “negazione” e della “minimizzazione” “della Shoah o dei crimini di genocidio”.Numerosi storici e ricercatori hanno stigmatizzato questa norma che penalizza la ricerca storica e obbliga ex lege a credere a una unica “verità” riguardo alla ricostruzione dei fatti. La ricerca storica, è stato autorevolmente ricordato, è sempre, per definizione, “revisionista”.
In successivi capitoli l’Autore ci informa di alcuni esiti dei processi che negli anni sono stati aperti contro atti o parole giudicati “razzisti”. Dalle severissime condanne dei tifosi di calcio autori del gravissimo crimine di “buuu” contro giocatori di colore della squadra avversaria, alla persecuzione giudiziaria e, anche in questo caso, alla condanna finale contro l’onorevole Borghezio, al quale venne persino negata l’immunità parlamentare, per una sua ironica frase sugli zingari: “Sinti e rom? Hanno una certa cultura tecnologica dello scassinare gli alloggi della gente onesta”. Sarcasmo certamente compreso, apprezzato e condiviso dalla stragrande maggioranza degli italiani per bene ma, evidentemente non dai giudici. Consolante invece l’assoluzione per un candidato della Fiamma Tricolore che in un volantino aveva lanciato lo slogan: “Basta usurai. Basta stranieri” accompagnandolo con una vignetta in cui venivano rappresentati un nero spacciatore, un cinese venditore di merci contraffatte, un musulmano con cintura esplosiva e due rom pronti a depredare. Talvolta anche in Italia troviamo il famoso giudice di Berlino.
Tutta la terza parte del libro è dedicata a una sorta di storia giudiziaria del saluto romano: così l’Autore rievoca il tentativo di equiparare il saluto romano a una manifestazione di razzismo – tesi alquanto azzardata sotto ogni profilo: storico, politico, penale – per poi raccontare dei vari processi riguardo al “rito del presente”, con annesso saluto romano, ad opera di militanti di destra nel ricordo a Milano del martirio di Carlo Borsani, Enrico Pedenovi e Sergio Ramelli, assolti dal Giudice per l’Udienza Preliminare (GUP), sentenza confermata dalla Cassazione, che non accolse il ricorso della Procura. E’ infatti da tener presente almeno due sentenze della Corte Costituzionale che specificavano che la legge non colpisce tutte le manifestazioni usuali del Partito Fascista, ma solo quelle che possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste. Chiosa Minutillo: “Per la procura di Milano il colpo era durissimo in quanto significava che da quel momento in avanti le manifestazioni di omaggio ai defunti fascisti o missini caduti in terra ambrosiana sarebbero state da considerarsi perfettamente legittime anche con la pubblica esibizione del saluto romano, delle croci celtiche e della celebrazione del rito del presente.”
In realtà, racconta sempre Minutillo, non sono mancate, anche successivamente e sempre da parte della Cassazione, sentenze contraddittorie, come quando venne confermata la condanna dell’avvocato Gabriele Leccisi – tra l’altro figlio di Domenico Leccisi, noto esponente del neo-fascismo milanese nel dopoguerra, noto per aver trafugato, assieme ad altri, la salma di Mussolini – che, assistendo dalle tribune del pubblico al consiglio comunale, rispose con un saluto romano alle provocazioni antifasciste di un consigliere dell’ultrasinistra. E la condanna avvenne non in nome della legge Scelba, di difficile praticabilità rispetto alle “manifestazioni fasciste”, ma in nome della legge Mancino, ormai trasformata, con espediente giudiziario, nello strumento giuridico di repressione antifascista nonostante l’implausibilità, già accennata, di una relazione diretta tra saluto romano e razzismo. Ancora, con sentenza della Cassazione del febbraio 2023 e stavolta richiamandosi alla Legge Scelba, si confermava la condanna di quattro persone per i loro saluti romani sempre nell’occasione della commemorazione milanese di Sergio Ramelli.
E veniamo agli atti finali di questa storia giudiziaria del saluto romano: dopo anni di sentenze tra loro contrastanti (una “Babele in cui era precipitata la giustizia italiana”, chiosa Minutillo) una Sezione della Corte di Cassazione finalmente decise di rimettere la questione alle Sezioni Unite della stessa Corte. Questa, nel gennaio del 2024, confermava quanto da tempo era stato giuridicamente accertato: il saluto fascista è reato se tale manifestazione “sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”. La Corte rimandava poi ai giudici di merito il giudizio sulle commemorazioni di Sergio Ramelli. Tutto bene dunque? Nelle manifestazioni meramente commemorative il saluto romano non è più reato, come hanno interpretato la sentenza molti, anche sulla stampa? In realtà l’avvocato Minutillo, nel suo testo, è più prudente e rileva nella sentenza della Corte di Cassazione elementi di ambiguità: un insidiosissimo inciso “riguardo a tutte le circostanze” e soprattutto l’affermazione che “a determinate condizioni”, siano applicabili sia la Legge Scelba, sia la Legge Mancino. Purtuttavia sembra accertato, scrive l’Autore, che “nel caso di una manifestazione a carattere meramente commemorativo […] il saluto romano non possa che essere qualificato come semplice modo di espressione costituzionalmente tutelato vuoi della pietà dei defunti vuoi della mera ideologia dei partecipanti”. Il che sarebbe già un piccolo passo avanti anche se, realisticamente, non possiamo non condividere, per esperienza storica recente e lontana, le ultime parole del libro: “per i fascisti ottenere giustizia e vedersi riconoscere tutti i diritti, tra cui anche quelli più basilari, sarà semplice difficile e complicato. La strada della effettiva riconciliazione nazionale e costituzionale è ancora lunga.”
Per dovere di cronaca e come positiva nota finale, tuttavia, è opportuno ricordare che, dopo la pubblicazione del libro, nello scorso ottobre la Corte di Appello di Milano, su sentenza di rinvio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per il saluto romano alla commemorazione di Sergio Ramelli nel 2016, ha assolto tutti gli imputati perché il fatto non sussiste. E anche il Tribunale di Ravenna, in applicazione della sentenza della Cassazione, ha mandato assolto, tra gli altri, Mirco Santarelli, uno degli storici organizzatori dei raduni di Predappio, difeso proprio dall’avvocato Minutillo che, giustamente soddisfatto, ha dichiarato che l’effettuazione del rito del presente e del saluto romano: “sia diventata a tutti gli effetti una condotta serenamente legittima ed anzi espressione di un diritto costituzionale. Diritto che, come tale, deve essere garantito e tutelato dalle pubbliche autorità preposte alla Sicurezza. Nessuno dovrà più essere nemmeno denunciato o segnalato per aver fatto il saluto romano durante le commemorazioni.”E ancora: “Sia chiaro che d’ora in poi chi avrà l’ardire di denunciare chi compie il saluto romano durante una commemorazione […] lo farà nella temeraria consapevolezza di accusare un innocente. E se ne dovrà assumere ogni responsabilità”.
Non possiamo che augurarci che le sue parole siano profetiche.
Antonio de Felip
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