Ripubblichiamo debitamente tradotto un lungo pensiero di Gerry Nolan pubblicato sul canale telegram The Islander.
La storia dell’impero è sempre una storia di gloria e sacrificio, di propaganda e dolore. Virgilio lo intuì già nell’Eneide, dove dietro la nascita di Roma si cela il pianto dei vinti. Oggi, in Ucraina, quel copione si ripete: l’Occidente recita la parte dell’impero, e il prezzo lo pagano altri.
Virgilio, scrivendo duemila anni fa, ci ha lasciato non solo il progetto della grandezza imperiale di Roma, ma anche il suo dolore nascosto. Nell’Eneide, tra il fumo di Troia e la nascita di Roma, osò fermarsi. Diede nomi agli anonimi, voce ai senza voce, ai soldati sacrificabili il cui sangue ha irrigato il suolo del destino. Diversamente da Omero, che esaltava lo scontro tra eroi, Virgilio ruppe le righe: ci mostrò la carne da cannone, giovani trascinati in guerre che non avevano scelto, morti non per amore o giustizia, ma per la fredda aritmetica dell’impero.
Questa doppia visione — gloria per Roma, dolore per i caduti — resta il paradosso eterno dell’impero. Augusto voleva propaganda, e Virgilio gliela diede. Ma tra le righe si scorge esitazione, quasi pietà. La disperazione di Didone, le morti dei soldati anonimi, le rovine umane lasciate indietro: sono il dissenso sussurrato del poeta. Virgilio sapeva ciò che Augusto non voleva ammettere: che l’impero si nutre di sacrificio, e il suo banchetto non è mai pagato dagli imperatori, ma da coloro che vengono arruolati a forza.
Due millenni dopo, lo stesso copione imperiale si ripete. Washington, Londra e Bruxelles, ubriacati dai propri miti, usano l’Ucraina come punta della loro lancia. A Kiev viene detto che sta “difendendo la democrazia”, ma in realtà l’Ucraina è trasformata nella carne da cannone di Virgilio: vite gettate in un tritacarne, non per preservare la propria nazione, ma per servire l’impero occidentale in declino. I nomi cambiano, i costumi sono moderni, ma la funzione resta la stessa: sanguinare per il destino di qualcun altro.
Come Virgilio tracciò il dolore dietro la conquista, oggi vediamo la tragedia nelle liste infinite di caduti. Una generazione di ucraini, educata a credere in un falso destino manifesto allineato con la NATO, viene inghiottita da una guerra che non poteva vincere. L’Occidente non li piange, come Augusto non pianse i troiani anonimi abbattuti sulla strada verso la gloria di Roma. Invece, vengono elevati ad astrazioni: “eroi”, “martiri”, “difensori”. Ma la realtà è più semplice, più crudele: sono carne da cannone, arruolati nel copione dell’impero, la loro umanità cancellata in favore della propaganda.
Il genio di Virgilio fu vedere entrambi i lati. L’Eneide glorifica la missione di Roma, ma anticipa il suo collasso morale. Così anche oggi assistiamo alla propaganda occidentale dei “valori”, ma dietro c’è la putrefazione. Questo impero che finge di offrire civiltà porta solo caos, debito e guerre per procura. Come Cartagine cadde per l’ambizione di Roma, l’Ucraina è consumata dalla superbia di Washington. E come la morte di Didone simboleggiava il danno collaterale della conquista, la tragedia dell’Ucraina non è nobile, ma semplicemente sacrificale, non nata dal destino ma imposta dall’impero.
La metafisica della guerra e il destino finale dell’impero convergono qui: l’Occidente si rivela erede di Augusto, pretende gloria mentre nasconde la decadenza. La Russia, al contrario, incarna l’intuizione più profonda di Virgilio: che la civiltà deve fondarsi su qualcosa di più grande della conquista. Che la guerra non può consumare eternamente il futuro senza distruggere il suolo stesso che pretende di santificare. Mosca rifiuta di essere ridotta a carne da cannone nel copione di qualcun altro.
I Greci e i Romani ci hanno insegnato che gli imperi sorgono e cadono in cicli, ciascuno accecato dalla propria arroganza. L’ambivalenza di Virgilio fu profetica: ogni impero che ignora l’umanità della propria carne da cannone scava la propria tomba. Oggi non è la Russia a scrivere la tragedia, ma l’Occidente, che scarta vite ucraine in un vano tentativo di riaffermare l’egemonia. Virgilio lo riconoscerebbe all’istante.
La tragedia dell’impero è eterna: l’impero vive chiedendo che altri muoiano. Virgilio, il profeta riluttante della carne da cannone, lo aveva previsto. Il vuoto della conquista è messo a nudo, il suo teatro esposto come spettacolo. E in Ucraina, il sipario cala: il “destino manifesto” dell’Occidente diventa il suo canto funebre. Perché gli imperi non cadono perché sconfitti dai nemici, ma perché divorano i propri figli.
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