Chi è la vera destra? Il tradimento dei moderati e la rinascita radicale
Nel linguaggio politico corrente, il termine “destra” viene spesso applicato a partiti e leader che, a ben vedere, non hanno più nulla a che fare con la tradizione politica che quella parola dovrebbe rappresentare.
Da un lato, la cosiddetta destra costituzionale, da anni pienamente integrata nel sistema liberal-globalista.
Dall’altro, una destra radicale, spesso criminalizzata, che pur tra limiti e contraddizioni appare oggi come l’unica erede legittima di un pensiero autenticamente di destra. La destra “moderata” — da Forza Italia a Fratelli d’Italia, passando per la Lega — ha progressivamente tradito i suoi riferimenti storici, culturali e sociali. Una destra che un tempo parlava di patria, comunità, giustizia sociale, sovranità e primato della politica sull’economia, oggi ripete i dogmi del liberismo di Bruxelles e di Wall Street, piegata agli interessi della finanza e delle oligarchie transnazionali.
Forza Italia è stata la prima ad aprire la strada a questo cedimento, portando in Italia l’ideologia del mercato totale. La Lega di Matteo Salvini, un tempo ribelle, è oggi un partito burocratizzato e arrendevole, incapace di opporsi realmente ai diktat di Bruxelles. Fratelli d’Italia, infine, ha tradito le promesse che l’avevano portata al potere: nessun passo reale verso la sovranità economica, nessuna difesa delle famiglie o del lavoro italiano, solo allineamento perfetto all’agenda euro-atlantica. Queste forze, pur proclamandosi “di destra”, non sono che gestori dell’esistente, funzionari del declino, rappresentanti di una destra svuotata, ornamentale, impiegata a tenere in piedi l’apparato senza toccarne i pilastri.
Destra radicale
Di fronte a questo scenario, la destra radicale appare oggi come l’unica manifestazione autentica di pensiero conservatore, nazionale e sociale. È radicale non perché violenta o eversiva, ma perché rifiuta di accettare i limiti imposti dal pensiero unico, ed è disposta a contestare, anche frontalmente, la struttura oligarchica che domina l’Occidente. Questa destra si nutre di valori chiari: identità, sovranità, comunità, lavoro, ordine, giustizia sociale.
Non cerca di compiacere le élite, ma di rappresentare chi è stato escluso dal grande gioco globale: i lavoratori impoveriti, le famiglie abbandonate, le imprese schiacciate dalla concorrenza sleale, i giovani senza futuro. Non si limita alla protesta sterile: propone modelli alternativi, difende l’interesse nazionale, chiede il ritorno del primato politico sull’economia, pretende una democrazia reale, non commissariata da burocrazie esterne. In una parola: recupera la vocazione storica della destra come argine al disordine, alla dissoluzione e allo sradicamento.
La distinzione fondamentale oggi non è tra “moderati” ed “estremisti”, ma tra destra vera e destra finta.
La prima si misura sul coraggio di rompere gli schemi imposti e di difendere il bene comune. La seconda si definisce solo per contrasto alla sinistra, ma è internamente omologata all’ideologia progressista dominante. In questo contesto, la destra radicale non è una minaccia per la democrazia: è una risposta alla sua crisi.
È una forza che punta a ricostruire, non a distruggere. E per questo — proprio per questo — viene temuta, diffamata, marginalizzata. Se la destra deve avere ancora un senso nel XXI secolo, non può essere la copia sbiadita di una sinistra economicamente globalista e culturalmente nichilista.
Le radici
Deve tornare a essere radicale nel senso più alto del termine: andare alle radici delle questioni, proporre alternative vere, rompere il conformismo paralizzante dell’attuale sistema politico-mediatico.
Oggi, solo la destra radicale incarna questa possibilità. Solo essa può ancora parlare il linguaggio del popolo, difendere gli interessi nazionali, immaginare un altro ordine. Non è perfetta, ma è l’unica destra rimasta.
E, forse, l’unica che può ancora salvare ciò che resta dell’idea di patria, di giustizia e di comunità.
Gianluca Mingardi
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