Pubblichiamo l’intervista che il Generale Marco Bertolini ha concesso molto gentilmente alla nostra testata
La recente e incredibilmente repentina caduta del regime di Bashar Al Assad in Siria e la conseguente presa del potere dei cosiddetti “islamisti” sono fatti che destano sorpresa e preoccupazione. Da esperto militare e attento osservatore delle dinamiche geostrategiche, lei come interpreta questi fatti?
Si è trattato del coronamento delle primavere arabe iniziate quasi per caso nel 2011 in Tunisia e impaludatesi in Siria subito dopo. Primavere arabe che sono state tutt’altro che uno spontaneo moto popolare di ribellione alle leadership locali, ma una vera e propria rivoluzione eterodiretta finalizzata a alterare il quadro complessivo del Mediterraneo. Non per niente i punti più dolenti di questa rivoluzione sono stati rappresentati dalla divisione della Libia anche grazie agli interventi arerei statunitensi, britannici e francesi e dalla successiva guerra in Siria che ha distrutto il paese, a partire da molte comunità cristiane tradizionalmente presenti nel paese. Libia e Siria, appunto, i due alleati principali della Russia nel Mediterraneo. Con il primo avevamo stilato un patto di amicizia poco tempo prima, il che non è bastato ad evitare quello che poi è successo: anzi, abbiamo dovuto far buon viso a cattivo gioco di fronte alla volontà di eliminare il “dittatore” di turno, nella speranza di salvare qualcuno tra i molti interessi italiani nel paese. E poi la Siria, sede di importanti basi russe, come Tartus e Hmeimin alle quali se ne sono aggiunte altre a partire dall’intervento russo nel paese nel 2015.
Con l’intervento russo, si ebbe la meglio della minaccia dell’ISIS e di Hayat Tahrir al Sham, la derivata locale di Al Qaida, seppur al costo di anni di lotta durante i quali l’esercito arabo siriano si era battuto valorosamente, anche subendo ripetuti interventi aerei da parte soprattutto israeliana. Un’azione, quella delle forze Armate siriane, che aveva portato alla liberazione di larga parte del territorio occupata dai terroristi, con particolare riferimento alle città di Aleppo, Hama, Homs e Deir Ez Zor sull’Eufrate; quest’ultima per ben due anni sottoposta ad un assedio da parte di ISIS a sud ovest e delle forze curde sostenute dagli americani sull’altra sponda del grande fiume.
Per questo, la facilità e la velocità con la quale queste forze già sconfitte a suo tempo sono uscite dalla provincia di Idlib, sotto controllo turco, nella quale avevano avuto il permesso di concentrarsi man mano che si arrendevano alle forze governative, è stata una amara sorpresa. L’Esercito siriano non ha praticamente reagito, come se ci fosse stato un accordo che non può non coinvolgere la Turchia stessa.
Comunque, resta il fatto che, come premettevo, con questo atto si concludono le primavere arabe, con il miglior risultato che quanti le hanno volute potessero auspicare: la messa in discussione di importanti basi russe nel Mediterraneo, estremamente importanti da un punto di vista strategico per Mosca e per la flotta del Mar Nero che già è a rischio nella Crimea con la guerra tra Mosca e Kiev.
Dal 2011, con l’inizio delle cosiddette “primavere arabe” (termine coniato dal sistema di potere che le ha generate), il Sud-Est del Mediterraneo è in stato di continuo disordine. Dall’inizio del conflitto russo-ucraino, inoltre, gli eventi di destabilizzazione e di confronto armato sono aumentati di numero e di intensità in maniera impressionante. Tutto induce a credere che un’epoca di relativa tranquillità per la nostra Nazione stia tramontando, per dare spazio ad un periodo di incertezza dove nulla può essere escluso: nemmeno il nostro coinvolgimento in vere guerre. A suo giudizio, chi di dovere si sta occupando seriamente di adeguare le nostre Forze Armate a questo inquietante scenario? Quali dovrebbero essere le azioni da intraprendere al fine di rendere efficiente il nostro strumento militare?
Sì. La volontà da parte delle Forze Armate di migliorare la propria preparazione è una costante da sempre. Da sempre le Forze Armate hanno lavorato “con logori arnesi” a questo fine, per dirla con Kipling, sbattendo comunque contro il muro del sostanziale disinteresse generale della nostra società per quel che riguarda le esigenze della Difesa. L’unica differenza di oggi rispetto al passato è la maggiore attenzione che si è creata, soprattutto nella componente politica, a causa della prova provata che le armi e la componente militare non sono un anacronismo superato dal progresso, questo mito del nostro tempo favorito dall’affievolirsi dell’interesse per la sovranità e l’indipendenza nazionale.
Quindi, ripeto, le Forze Armate italiane quali strumento essenziale della nostra sovranità nazionale da sempre cercano di superare i gap capacitivi che le sono stati imposti dal disinteresse della politica nazionale degli ultimi decenni. Ma i problemi che si oppongono spaziano dalla dimensione finanziaria, con la difficoltà anche per l’Italia di arrivare ad un misero 2% del PIL da destinare alla Difesa, alla disponibilità di aree addestrative, alla manutenzione di armi e infrastrutture. A questo disinteresse sono da addebitare anche provvedimenti più che discutibili, come l’approvazione del sindacalismo militare, un ossimoro vero e proprio che contraddice in pieno uno dei cardini della militarità per come veniva insegnata in Accademia e interiorizzata ai reparti ai miei tempi. Bei tempi. Tempi giusti.
Di fronte alla enorme destabilizzazione che caratterizza ormai una larga parte delle aree geografiche a noi vicine e di grande importanza per i nostri interessi nazionali, diversi esponenti del mondo politico italiano parlano della necessità di creare un “esercito europeo”, ossia di dotare l’Unione Europea di uno strumento militare capace di fare fronte alle necessità che le nuove dinamiche internazionali impongono. A suo parere si può considerare seriamente la possibilità di creare delle forze armate battenti bandiera UE?
In precedenza ho accennato al maggiore interesse che si registra per le esigenze della Difesa in questi ultimissimi anni. Ora, questa necessità è esplosa in tutta la sua urgenza a causa della situazione internazionale che non lascia più spazio a illusioni circa il potere del progresso e della democrazia di rendere inutili le controversie internazionali che richiedono l’uso della forza. C’è da osservare che, purtroppo, alla base di questa nuova sensibilità non c’è una rinascita del sentimento di solidarietà nazionale, come sarebbe giusto, ma l’esigenza di corrispondere alle richieste dei reggitori dell’alleanza atlantica e dell’Unione europea, in nome di una “sovranità europea” del tutto improbabile. Certo, Forze Armate comunitarie per lo svolgimento di attività operative nelle cosiddette operazioni di pace fuori area sono forse possibili; e di fatto già operano nelle varie EU Training Missions. Ma si tratta di una specie di forza di polizia per operazioni di bassa intensità nelle quali non sono in gioco gli interessi diretti dei singoli paesi e nei quali la morte del soldato non rappresenta una sistematica ricorrenza come vediamo nelle cronache attuali. Ma l’illusione che sia possibile avere forze comunitarie per svolgere attività operative ad alta intensità, come quelle che vediamo in Ucraina tanto per intenderci, mi sembra impossibile. Nessuno metterà mai a rischio di distruzione, almeno spero, intere generazioni della propria popolazione per difendere interessi di paesi distanti, e per di più divisi da interessi spesso divergenti dai nostri. L’Europa è un continente composto da realtà nazionali distinte, dalla religione alla lingua stessa, e questo non può essere eliminato per decreto in nome di valori che vengono declinati diversamente dalle diverse culture. I recenti successi delle forze più “sovraniste” nelle elezioni di tutti i paesi del continente confermano che l’unico elemento comune tra le varie sensibilità nazionali ora è la consapevolezza della mancanza di interessi e di norme di comportamento comuni, dai provvedimenti nei confronti dell’immigrazione, alla guerra in Ucraina, alle politiche a favore della famiglia naturale, al cosiddetto rischio climatico e quello che dovrebbe imporci. La democrazia stessa, intesa come libertà di scegliersi i propri governanti e unico valore che tutti nell’Occidente invocano a gran voce come supremo, è stata messa in discussione addirittura con provvedimenti, come l’annullamento delle elezioni in Romania, i disordini in Georgia contro la vittoria del partito più prudente nei confronti dell’Unione Europea e della Nato o le discusse votazioni in Moldavia, che contraddicono i nostri convincimenti più profondi.
E la creazione di un “esercito europeo” non può che basarsi su un sentimento di comunità negato nei fatti.
Non nego che un denominatore comune può essere cercato e forse trovato, ma certamente non con operazioni imposte dall’alto come quelle a cui assistiamo da anni. E, comunque, lasciando la Difesa ai singoli paesi a meno di insidiarne irrimediabilmente la sovranità.
Veniamo ora all’andamento del conflitto russo-ucraino. A che punto si trova questo orrendo scontro militare che dal febbraio 2022 sta insanguinando l’Europa, mietendo centinaia di migliaia di vittime e generando enormi problemi che gravano sulle nazioni del nostro continente?
Il conflitto, come era ampiamente prevedibile dall’inizio, vede l’Ucraina soccombente di fronte alla pressione russa. Nel Donbass, dopo la conquista di Bakmut l’anno scorso e il sostanziale fallimento nell’estate del 2023 di una controffensiva ucraina che replicasse quella del settembre 2022, le forze russe avanzano su tutto il fronte, infliggendo forti perdite all’esercito di Kiev. Sono così cadute posizioni importanti, come Niu York, Avdivka, e Kurakove, mentre altre posizioni fortificate come Chasiv Yar, Toretsk, Pokrovsk, Valika Novosilka sono sul punto di essere conquistate. Kupiansk stessa, a nord del settore è ormai pressata dalle truppe russe a pochi chilometri della città. Superate queste, non dovrebbero più sussistere linee fortificate particolarmente efficaci da parte di Kiev, il che non potrebbe che peggiorare la situazione dell’Esercito ucraino che già soffre una penuria di personale notevole. Da qui, la richiesta statunitense di consentire la mobilitazione dei diciottenni, misura alla quale Zelensky stesso per ora si oppone, consapevole dell’impatto devastante che avrebbe sotto il profilo sociale, anche in vista di una difficile ricostruzione del paese che non potrà essere affidata ai “vecchi”.
Anche il tentativo di offensiva nel territorio russo nella provincia di Kursk da parte ucraina sta segnando il passo con una riduzione del 50% del territorio che era stato inizialmente occupato, mentre la Russia smantella sistematicamente la rete elettrica ucraina con interventi missilistici devastanti. Per contro, l’impiego di armi occidentali sul territorio russo disposto da Biden dopo la sonora batosta elettorale di novembre non riesce a innescare l’escalation che evidentemente era nei programmi. Una corsa contro il tempo, questa, prima che con l’insediamento di Trump il 20 gennaio si aprano possibilità di un negoziato contro il quale non si sono sprecati sforzi da parte occidentale in questi tre anni.
L’elezione di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti d’America quale impatto potrebbe avere sugli attuali assetti mondiali, in particolare quanto concerne il conflitto russo-ucraino, il Vicino e Medio Oriente, la NATO e la stessa Unione Europea?
Effettivamente, l’elezione di Trump potrebbe rappresentare una opportunità di ricomposizione del conflitto mediante l’avvio di un negoziato, appunto. Almeno questo è quanto Trump stesso ha da sempre affermato, smentendo la politica bellicista che fin dai tempi di Clinton ha caratterizzato la postura dei Democratici statunitensi degli ultimi trent’anni. Resta però da vedere se Trump potrà offrire a Putin una contropartita accettabile da questi e che non potrebbe non prevedere anche la neutralità di quello che resterà dell’Ucraina.
Inoltre, bisogna anche tenere conto di quello che è il contesto internazionale generale, che vede un terribile conflitto in Medio Oriente a rischio di escalation e che potrebbe coinvolgere anche la Russia stessa e il suo alleato superstite nell’area, l’Iran. E che Trump condivida in pieno il sentimento anti iraniano statunitense – fu lui a far uccidere il Generale Suleimani – è noto. Insomma, si aprirà certamente una finestra di opportunità con l’insediamento di Trump, ma la prudenza nelle nostre aspettative di pace è obbligatoria.
Il Generale di Corpo d’Armata (Aus.), Marco Bertolini, è nato a Parma il 21 giugno 1953. Figlio di Vittorio, reduce della battaglia di El Alamein, dal 1972 al 1976, Marco Bertolini ha frequentato l’Accademia Militare di Modena e la Scuola di Applicazione d’Arma di Torino. Nel 1976, con il grado di Tenente, ha prestato servizio presso il IX Battaglione d’Assalto Paracadutisti Col Moschin del quale, per ben due volte (dal 1991 al 1993 e dal 1997 al 1998), è stato comandante.
Già comandante, dal 1999 al 2001, del Centro Addestramento Paracadutismo, dal 2002 al 2004 è stato posto al comando della Brigata Paracadutisti Folgore per poi assumere il comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali (COFS) e, successivamente, quello del Comando Operativo di vertice Interforze (COI). Dal luglio del 2016 Marco Bertolini ha cessato il suo servizio attivo nelle Forze Armate. Attualmente è Presidente dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia.
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