L’egemonia culturale e i nuovi ministri

L’egemonia culturale e i nuovi ministri
L’egemonia culturale e i nuovi ministri

“Sentinella, a che punto è la notte?”. La citazione biblica, ripresa da Shakespeare nel suo Macbeth è, metaforicamente, la domanda che molti di noi si pongono riguardo all’egemonia culturale della sinistra che da anni domina l’Italia come una cappa opprimente. Tuttavia, nonostante la buona volontà di alcuni, peraltro inquinata talvolta da moderatismo e complessi di inferiorità, la luce in fondo al tunnel ancora non si vede.

Il caso Sangiuliano-Boccia è esemplare. Non c’interessa, qui, la morale della vicenda che possiamo trarre riguardo all’ingenuità e la dabbenaggine di molti maschietti (soprattutto di potere, ma non solo) indifesi di fronte alla malizia di una spregiudicata arrampicatrice sociale (qualcuno ha osato usare anche la definizione “ricattatrice sessuale”). Il caso delle arroganti Erinni del Me Too non ha insegnato nulla.

Lo stop a Sangiuliano

Col passare del tempo è diventato chiarissimo come la campagna mediatica scatenata dalla sinistra contro Sangiuliano, attraverso la sicaria Boccia, sostenuta e consigliata da un team di avvocati, comunicatori, giornalisti, sia stata una sorta di altolà al ministro per la sua azione contro l’egemonia della sinistra nei vari campi culturali, in particolare quello del cinema, strumento formidabile di pervertimento delle mentalità e di indottrinamento inavvertito. Le disposizioni del ministro dimissionario potrebbero ridurre i finanziamenti pubblici a pioggia a registi e sceneggiatori di sinistra per la realizzazione di film, ovviamente di sinistra, destinati a non avere spettatori. Se “artisti” militanti di sinistra come Nanni Moretti e Gabriele Muccino hanno violentemente attaccato la riforma dei finanziamenti, significa che la percepiscono come un concreto pericolo contro l’occupazione gauche-caviar del grande schermo.

Purtuttavia, non abbiamo segnali di una diminuzione della crudele morsa, da parte della macchina da guerra rossa, sulla produzione cinematografica e i relativi annessi. Lo dimostra molto bene la recente Mostra del cinema di Venezia. La grande maggioranza delle opere presentate erano impestate, più o meno palesemente, di antifascismo, antirazzismo, femminismo, ecologismo, immigrazionismo.

La Biennale e Buttafuoco

Opere di propaganda, quindi, con livelli diversi di mascheratura. La nomina di Pietrangelo Buttafuoco, che pure è certamente un intellettuale di vaglia, alla presidenza della Biennale, non ha dato ancora i suoi frutti. E’ troppo presto? Ci sia permesso di dubitarne. Il sistema chiuso della casta dei cinematografari è così inattaccabile che quella nomina rischia di essere ininfluente. Anzi, di rappresentare un alibi per la sinistra. Abbiamo visto Buttafuoco saltellare felice sul red carpet, distribuendo premi e sorrisi.

A proposito, chi ha vinto? Il film del pornografo di ultrasinistra Pedro Almodòvar, osannato dalla critica militante, un lacrimoso film apologetico dell’eutanasia. Se ne è parlato anche su questo sito, con un bell’articolo: https://www.2dipicche.news/venezia-leone-doro-a-almodovar-pro-vita-famiglia-premio-a-chi-si-uccide/ che cita un giustamente indignato comunicato di Pro Vita e Famiglia.

Esemplare, per la palese faziosità, al limite del grottesco, la presenza alla Mostra, ma fuori concorso, di M – Il figlio del secolo, una fiction addirittura in più puntate tratta dall’opera seriale del propagandista antifascista Antonio Scurati, colui che giornalmente, a orari fissi, come un muezzin, lancia dalla sua torre d’avorio grida d’allarme contro il risorgente fascismo.

Sentite cosa ha comunicato un contrito Luca Marinelli che, in nome della lotta contro il pericolo di una nuova Marcia su Roma, si è sacrificato costringendosi, suo malgrado, allo sgradevolissimo compito di interpretare, nella fiction, il Benitone nazionale: “per approcciarmi al personaggio ho sospeso il giudizio nei suoi confronti per sette mesi, il tempo della lavorazione. Ma per me, che sono antifascista e vengo da una famiglia antifascista, è stata una delle esperienze più dolorose della mia vita”. Direbbe Totò: ma mi faccia il piacere…

La cupola di sinistra

E non è vero che non ci siano registi, sceneggiatori e anche attori, diciamo così, “non di sinistra”. Solo non hanno i mezzi per emergere, non vengono cooptati dalla cupola della sinistra. Scrive Marcello Veneziani: “Quanti autori, magari di qualità ma senza mezzi economici adeguati, sono stati dimenticati per destinare invece il sostegno pubblico a chi potrebbe farne a meno?”. Persino Carlo Verdone si è recentemente lamentato dell’impedente cappa di “correttezza politica” che grava sul cinema italiano.

Allora, qual è lo stato dell’arte della sistematica occupazione da parte delle sinistre delle casematte (come le definiva Gramsci) della cultura? Con il governo “di destra” di Giorgia Meloni, è cambiato qualcosa? E’ stata lanciata una controffensiva per liberare i territori della scuola, dell’università, dell’editoria, delle mostre, dei premi letterari, dei media, delle televisioni eccetera dal “culturame di sinistra” (il copyright è di Maurizio Belpietro – anche se il termine venne inventato da Scelba -, ma la beceraggine della definizione riflette assai efficacemente quella del soggetto definito)?

La propaganda RAI per la sinistra

E’ bene essere chiari: non si vedono tentativi seri di cambiamento. La lotta per la liberazione dalla dittatura culturale della sinistra non è ancora partita. La Rai, non solo Rai3 o Rai News 24, continua imperterrita ad essere uno strumento della propaganda della sinistra, spesso dell’ultrasinistra.

Le rassegne stampa mattutine continuano a silenziare i pochi giornali di destra. Non un libro o un autore di destra vengono recensiti e ospitati a trasmissioni come Quante storie o in altre trasmissioni di recensioni librarie.

Avete visto un talk show in cui il raro giornalista di destra non venga soverchiato da due/tre suoi colleghi di sinistra? Avete visto una fictiondi destra, un’inchiesta giornalistica di destra, un docufilm di destra? E, per il momento, lasciamo stare cosa si possa intendere per “destra”.

Mediaset proclama in un suo spot, con toni esaltati, di sostenere “le diversità e l’inclusione”. De LA7 è meglio non parlarne.

Nelle amministrazioni locali di centrodestra, e non sono poche, non si vedono volontà di operare concretamente per una cultura “non conforme”. Non vediamo mostre, premi letterari, convegni, rassegne librarie, finanziamenti a centri studi e associazioni culturali non di sinistra. In Lombardia in molti si ricordano di Marzio Tremaglia, assessore alla cultura che, con pochissimo, fece tantissimo.

Scuola e Università

La scuola è dominata da una casta di post-post-sessantottini. La selezione non esiste, non solo nella scuola primaria e in quella media inferiore, ma anche negli istituti superiori. Quest’anno il tasso di promozioni agli esami di maturità è stato del 99,8%. A questo punto perché non abolirlo, questo esame?

Imperversano i “genitori uno” e i “genitori due” e i corsi “antibullismo” che contrabbandano pornografia omo-transessualista e genderista. La vulgata storico-sociale è quella resistenzial-progressista. Se uno studente esprime idee di destra viene ostracizzato, punito e condannato a “corsi di rieducazione”. Non ci credete? E’ successo in un istituto superiore a Cuneo, qualche tempo fa.

L’università è dominata da una cupola di docenti di sinistra che si autoriproduce. In un’intervista, così afferma Marco Tarchi riguardo al nepotismo e al clientelismo sinistrorsi imperante negli atenei: “Salvo pochi casi, chi non aveva opinioni gradite è stato accuratamente tenuto fuori dai luoghi di riproduzione del potere culturale – a partire dalle università – anche se mostrava qualità notevoli. Questo fenomeno accade tutt’ora, per esempio nel reclutamento nei dottorati di ricerca o in taluni ambiti artistici”.

Giornali e Libri la “destra” dorme

Nell’editoria, è cambiato qualcosa? I cinque quotidiani più diffusi, se si esclude la Gazzetta dello Sport, sono il Corriere della Sera, la Repubblica, il Sole 24 Ore, La Stampa, Avvenire. Tutti, a vario titolo, schierati in un “campo largo” liberal-progressista.

Il governo di centrodestra cosa ha fatto per aiutare una rinascente editoria di destra, minoritaria ma vivace e interessante? Le amministrazioni locali hanno favorito la distribuzione di testi non conformisti nelle biblioteche pubbliche, dominate spessissimo da funzionari ostili? Provate a chiedere libri di Julius Evola – è solo un esempio – in una qualsiasi biblioteca comunale.

Sempre a proposito di libri, controllate gli elenchi dei premiati allo Strega o ad altri premi letterari e ditemi se trovate un autore di destra. Mauro Mazza, giornalista presunto di destra, ha ammesso: “Nei libri del premio Strega l’anima e Dio sono scomparsi. Domina l’ateismo pratico”. Ben detto.

Poi è lo stesso Mazza che, in quanto commissario straordinario per l’Italia ospite d’onore alla prossima Fiera del libro a Francoforte, chi nomina come “autori rappresentativi” dell’Italia? Dacia Maraini, Claudio Magris e Alessandro Baricco. Ridicolo.

L’autoillusione è a destra

E pensare che il bravo critico Maurizio Caverzan così aveva scritto: “Dopo anni, forse decenni, di proposta orientata dalla solita parte, con la nomina di Mazza, voluta nel giugno scorso dal ministro della Cultura, Sangiuliano, le cose cambiano”. Formidabile la capacità della destra di auto-illudersi.

Purtroppo, è ancora vero quello che Marco Tarchi ha scritto tempo fa, sull’aggressione “che il fronte progressista […] ha condotto con successo, da più di mezzo secolo in qua, imponendo codici di comportamento, convinzioni e parametri morali politicamente corretti attraverso l’azione di un ceto politico intellettuale insediato in tutti i centri di influenza: scuole, università, case editrici, redazioni giornalistiche, circoli economici, realtà associative”.

Il premio Campiello, finanziato dagli imprenditori veneti, è andato a una scrittrice pubblicata da Feltrinelli, che si è affrettata a dedicare il premio a “a tutte quelle persone che stanno attraversando i confini”.

No, poco, o niente, è cambiato, e lo ha amaramente rilevato anche Marcello Veneziani: “Non c’è nessun cambio di passo, nessuna svolta, nessun reale cambiamento. O, a essere ottimisti, solo qualche virgola, qualche dettaglio, qualche frenata, qualche stop”.

Anche quando viene nominato qualche esponente della destra culturale, questi si affaccia intimidito, vuole mostrarsi “equanime”, “neutrale”, sofferente di complessi di inferiorità, quasi timoroso del giudizio della grande stampa, ostile per principio ai valori della destra, e sembra sempre ricercare, sostiene Veneziani, “la benevolenza del potere culturale preesistente e persistente”.

Le illusioni della depoliticizzazione

Agli inizi del suo mandato, l’ex ministro Sangiuliano dichiarò: “Non vogliamo sostituire un’egemonia culturale con un’altra”. Male, molto male. Alla fine gli scherani della sinistra ci sono riusciti: hanno sostituito lui. Poi, da parte di altri “pensatori” di destra ecco l’errore di dire: “non esiste una cultura di destra e una cultura di sinistra. La cultura è cultura”. Sarà anche vero, ma è una frase incapacitante, una “depoliticizzazione” del tema che, in realtà, è una rinuncia, una resa.

Chi l’ha capito molto bene è un ex magistrato, Pietro Dubolino, presidente emerito di Sezione della Corte di Cassazione, articolista e saggista, autore, tra l’altro, di un agile ma interessante e consigliabile libro: Europa basta sensi di colpa, edito da il timone. Così ha recentemente scritto in un suo articolo su LaVerità: “Occorrerebbe invece che, traendo profitto dall’insegnamento di Lenin e di Gramsci, anche la destra riuscisse a realizzare quella sistematica occupazione dei gangli vitali della società civile che così bene è riuscita alla sinistra”. E prosegue auspicando che la destra “almeno trovasse il coraggio di rifiutare in blocco, puramente e semplicemente, piuttosto che cercare di stemperarli, quelli che l’establishment sinistroide ha imposto ormai da tempo come dogmi di fede.”

Il nuovo ministro della Cultura

Il nuovo ministro della Cultura, Alessandro Giuli, riuscirà a operare per la riconquista delle piazzeforti culturali ora saldamente in mano alla sinistra? Purtroppo, ne dubitiamo assai.

Ha già cominciato male: nel suo primo intervento alla Camera, ha fatto di tutto per prendere le distanze dal suo predecessore. Ha promesso di rivedere le sue nomine in nome della “parità di genere”, avendo rilevato un presunto “mancato rispetto dell’equilibrio di genere, […] e a tal riguardo è mio intendimento intervenire su tale profilo”. Il primo intervento del ministro è ispirato a un rigoroso femminismo e all’imposizione di quote di genere.

Di Giuli si può ricordare una giovanile militanza, come Sangiuliano e molti altri, nel Fronte della Gioventù, seguita da una scappatella nella destra extraparlamentare di Meridiano Zero. Poi la carriera giornalistica: tra le altre testate Il Foglio e Tempi e poi anche la Rai. Dal dicembre 2022 è presidente della Fondazione Maxxi, nominato da Sangiuliano. Nel 2007 pubblica, con l’editore sinistrorso Einaudi, Il passo delle oche, un pamphlet su Alleanza Nazionale e la sua “identità irrisolta”. Un testo di “rinnegamento del padre” spesso velenoso nei confronti del suo ex mondo politico.

Giuli e l’epurazione antifascista

Nel libro è chiaro un intento che diventerà il leitmotiv della sua azione culturale: la destra si deve depurare dalle sue “scorie” neofasciste. Anzi, scrive Giuli, deve abbandonare senza rimpianti la definizione di “destra”. Una mania, un’ossessione. A maggio di quest’anno, in un’intervista al Corriere della Sera, dichiara che negli USA voterebbe per i Democratici e mai per Trump; che non sostenne Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio, nella sua campagna contro l’aborto; che si rifiutò di scrivere un articolo, richiestogli dallo stesso Ferrara, a favore del progetto un Museo del Fascismo a Predappio al quale era fermamente contrario; che preferirebbe viaggiare con la Schlein piuttosto che con il generale Vannacci; di sentirsi “nella sinistra della destra” (di quale destra non si sa), e che Fratelli d’Italia dovrebbe rinunciare ai voti della “destra più estremista”.

Questa sua irosa, patologica pulsione antifascista all’epurazione della destra da se stessa, trova conferma in un’altra intervista a giugno, sempre al Corriere, in cui, con una melmosa metafora, ingiunge a Fratelli d’Italia di “prosciugare le pozzanghere di fascismo”. E ritorna sull’intimazione a questo partito di rinunciare al “2% di voti nostalgici, antisistema, populisti”. Ci permettiamo sospettare che la dichiarata percentuale del 2% di “fascisteria”, come viene definita nell’intervista, sia un tantino sottostimata: ci sembra, in sostanza, un suo astioso wishful thinking. Nella sua prima apparizione pubblica come ministro, alla Mostra del cinema di Venezia, ha dichiarato: “Io sono un liberale”. Non ne dubitavamo.

Gramsci è vivo e lotta con Giuli

Per capire ancora meglio come la pensi il Nostro, occorre leggere (ma pochi leggono, soprattutto, purtroppo, a destra) un suo recentissimo libello dello scorso maggio, Gramsci è vivo, edito da Rizzoli. Un pot-pourri discontinuo e disorganico. Una personale bibliografia trasversale, “inclusiva” (c’è di tutto), confusa e contraddittoria. Una prosa certamente colta, a volte barocca e involuta. In alcuni punti, overdose di maiuscole. Luoghi comuni sull’Ucraina, sulla Russia e, ovviamente, su Putin. Esaltazione del suo (di Giuli) operato come presidente del MAXXI. Di Gramsci si parla poco, e alla fine. Ma è l’Introduzione che svela esplicitamente, il pensiero di Giuli: una destra che in realtà è una non-destra, anzi un’anti-destra.

Nella prosa emerge uno sciapo “patriottismo costituzionale”. Poi affermazioni, anzi, intimazioni come: “la destra italiana, ormai adulta, celebri il proprio ingresso nell’età matura e si lasci alle spalle […] ogni lacerto di nostalgia per un’identità illusoria animata da fantasticherie revansciste, reazionarie, regressive.” “Urge una destra capace di affermare se stessa illuministicamente”. “Una destra moderna, dunque, matura e plurale…Una destra liberale”.

E ancora: “Nel XX secolo il Torto è stato sconfitto dalla Ragione la cui astuzia ha hegelianamente prodotto la Nuova Italia antifascista in cui specchiarsi e riconoscersi.” Poi apoteosi costituzionaliste: “La Costituzione del 1948 […] rappresenta il perimetro invalicabile in cui si colloca il nostro discorso pubblico.”Una “cornice costituzionale suscettibile di cambiamenti, correzioni, miglioramenti che mai dovranno snaturare la sostanza del Patto civile fondamentale garantito dalla Carta del dopoguerra.”

Una storia arcobaleno

Non stupisce il pathos di un sentito endorsement all’ideologia trans-omosessualista e genderista: il “dovere di garantire sotto ogni aspetto la protezione nei confronti di tutte le identità di genere minacciate da violenze e discriminazioni.” Apodittica l’affermazione: “è lecito affermare che la Storia è in debito con la comunità arcobaleno.” La Storia, capite, e con la Esse maiuscola.

E poi un’invettiva antifascista degna di un Berizzi, o di uno Scurati, gonfia di bieca e involuta retorica, contro i “residui di remote stagioni” con “qualche vecchio santino sopravvissuto nel retrobottega delle catacombe nere; e altri pagliacci sono le controfigure stentoree ancor nerovestite, nemiche giurate di Palazzo Chigi, che ignorano di rievocare il fascismo da operetta”.

Ecco, qualcuno s’illude ancora che con personaggi di questo genere si possa combattere l’egemonia culturale della sinistra? Scommettiamo che Giuli, che dalle prime uscite sembra afflitto da una certa dose di “piacionismo”, ricercherà, con qualche nomina e qualche scelta, quella “benevolenza del potere culturale preesistente e persistente” evocata da Marcello Veneziani?

Certo, per nostra natura non ci manca una grande dose (oh, quanto grande, da decenni…) di “ottimismo della volontà”, per dirla con il solito Gramsci, ma abbiamo il dovere di osservare che la luce in fondo al tunnel è ancora lontana.

Antonio de Felip

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