L’inglese sta uccidendo l’italiano
Difendere la lingua italiana dal pandemico ed estremamente virulento inglese.
La lingua italiana un bene storico e culturale da proteggere e promuovere, esattamente come si fa per tutte le nostre eccellenze, dal patrimonio artistico e naturale a quello eno-gastronomico.
Virus inglese
Bisogna, assolutamente, salvaguardare la nostra lingua dall’interferenza della lingua inglese, estremamente pandemica, che ha raggiunto in questo nuovo millennio una dimensione senza precedenti, rispetto alla penetrazione delle altre lingue in passato, e che grazie alla prepotente virulenza dell’alto numero di anglicismi entrati nei dizionari suscita preoccupazione per la loro velocità di radicamento e per la loro frequenza d’uso.
Soprattutto in alcuni settori come l’informatica e la tecnologia e l’economia la lingua italiana non è più in grado di esprimersi con il proprio lessico, senza ricorrere alla terminologia in inglese. Tutto rischia di frantumare l’identità storica del nostro patrimonio linguistico e di trasformarlo in un ibrido definito “itanglese”.
Assimilazione
Da sempre le parole straniere sono state italianizzate (per es. cinematografo dal francese; sauna dal finnico…), oppure importate in modo “integro” (es. abat-jour, lockdown…) Nel primo caso i vocaboli venivano perfettamente assimilati mentre nel secondo caso rimanevano come corpi estranei che non si univano con il tessuto linguistico ospitante.
Il parallelo con il francese
Se il numero di forestierismi integri importati è in numero limitato, il nostro sistema linguistico e in grado di assorbirli bene senza risentirne. Ma se importiamo un numero eccessivo di parole straniere provenienti quasi esclusivamente da una sola lingua finiremo per assistere ad un processo di mescolamento ed avvizzimento del nostro lessico.
Mentre i francesismi sono stati assimilati e italianizzati nella quasi totalità dei casi, ed hanno arricchito di nuove parole a tutti gli effetti italiane, rimanendo “francesi” solo per la loro etimologia, gli anglicismi, al contrario, per buona parte penetrano in modo integro e grazie loro alla sproporzione numerica hanno degli effetti devastanti sulla nostra lingua.
Mentre l’interferenza del francese è il risultato di una lenta penetrazione plurisecolare, gli anglicismi sono un fenomeno apparso nel XXIX secolo, che è pian piano cresciuto nel Novecento, ingigantendosi come fenomeno nel dopoguerra, assumendo, poi, negli anni Duemila una dimensione colossale.
Una lingua destinata a morire?
La quantità di parole inglesi, rispetto ai vocaboli di altre lingue, prosegue, si accumula e penetra, nel nostro vocabolario, con una velocita fuori controllo, oramai, la lingua italiana è incapace di forgiare parole sue per esprimere tutto ciò che è nuovo, recente, e che viene, oramai, espresso, solo prevalentemente in inglese, rendendo la nostra una lingua appassita, morente, incapace di crescere rischiando l’obsolescenza e la sua lenta e inesorabile scomparsa.
Media e giornali hanno rotto gli argini
La frequenza degli anglicismi è evidente soprattutto nei mezzi di informazione, che un tempo hanno contribuito enormemente all’unificazione dell’italiano ma oggi sono uno dei principali centri di irradiazione dell’itanglese, l’uso delle parole inglesi sulle prime pagine dei giornali, specialmente quelli in forma digitale ha dati allarmanti. Parole come lockdown o fake news sono state introdotte dal linguaggio mediatico in modo martellante e senza alternative fino ad entrare nella lingua di tutti come le sole espressioni possibili, dimenticando la loro corrispondenza in italiano.
Un fenomeno nuovo è, poi, quello delle parole che non sono più né inglesi né italiane, abbiamo avuto in passato degli ibridi nel caso della lingua francese (es. foularino da foulard, voyeurismo da voyeur) che però sono in numero molto esiguo ed un’italianizzazione perfetta di alcuni vocaboli (es. cabarettista e cabarettistico da cabaret).
Anche nel caso dell’inglese occorre distinguere tra parole perfettamente italianizzate come filmare o barista, che pur derivando da film e bar sono strutturalmente italiane dalle parole che si scrivono e pronunciano in parte secondo l’italiano in parte secondo l’inglese, per es. chattare o shampista.
Gli odiosi neologismi
Nella maggior parte dei casi, poi, nascono parole ibride, che sono in enorme aumento soprattutto tra i neologismi e che oramai sono stabili al punto da essere inseriti nei vocabolari (forme verbali come ad es. backuppare, bypassare, zoomare e forme nominali o aggettivali come ad es. babysitteraggio, clownesco, speakeraggio).
Alcuni anglicismi danno origine a un numero di neo-coniazioni ibride potenzialmente infinite per esempio la parola Killer, che sta soppiantando la parola assassino, genera espressioni ibride come sassi killer, zanzare killer, batterio killer e molte altre ancora.
Pensiamo al prefisso baby e tutte le sue varianti: baby-criminale, baby-bandito, baby spacciatore, baby-prostituta; baby soldato, baby pensionato, baby calciatore, baby consumatore, baby pensione, baby-lavoratore, baby-paziente, baby-modella, baby-atleta, e altri ancora, potremmo citarne a decine e decine.
Un lavoro in profondità
Le radici inglesi non si fondono solo con quelle italiane dando vita a composti ibridi, ma si accostano alle altre radici inglesi in circolazione con un effetto domino.
(es. day hospital, green pass) ma se si aggiungono le parole composte (es. weekend, lockdown) si può concludere che almeno due terzi degli anglicismi sono formati da due elementi, una caratteristica, questa che li rende virali.
Radici profonde
Le radici inglesi si insinuano in modo sempre più profondo e assiduo aiutando l’entrata di espressioni della stessa famiglia: babysitter agevola l’affermarsi di dog sitter, o pet sitter; pet al posto di animale domestico, a sua volta, si irradia in espressioni come, pet shop, pet food, i vocaboli come fast food generano street food invece del cibo di strada, il finger food al posto del cibo al cartoccio, il junk o trash food per indicare il cibo spazzatura e via dicendo. in questo effetto domino caratterizzato dall’abbandono dell’italiano per vocaboli di radice inglesi, sbocciano, poi, gli anglicismi “maccheronici” come, ad esempio, smart working (in inglese home working).
Gli anglicismi e le radici inglesi, in buona sostanza, stanno assumendo vita propria: non sono più semplici “prestiti”, si trasformano in modelli per la creazione di nuove parole che non sono più inglesi ma che non seguono più nemmeno le regole formative dell’italiano. Questo fenomeno sta travalicando la sfera lessicale per cominciare a coinvolgere la sintassi, e stravolge la struttura dell’italiano.
L’attuale interferenza dell’inglese si configura come un fenomeno nuovo dalle conseguenze inedite e pesanti, rispetto all’interferenza che nei secoli hanno esercitato le altre lingue sull’italiano.
Ciò non avviene soltanto per l’altissimo numero degli anglicismi, per la velocita con cui attecchiscono, per la frequenza d’uso e per lo spessore con cui si radicano, ma anche dall’agevolazione con cui preferiamo usare espressioni inglesi che ci appaiono più evocative abbandonando le nostre storiche, l’interferenza dell’inglese non è un arricchimento, ma rappresenta un impoverimento della nostra lingua.
La lingua va tutelata
Per invertire questa tenenza e necessario, come detto in testa all’articolo, considerare l’italiano un bene storico e culturale da proteggere difendere e promuovere,
All’estero lo hanno capito per esempio la Francia ha delle leggi per la tutela del francese, lo stesso avviene in Spagna, mentre in Islanda esiste ufficialmente la figura del “neologista” che conia parole in islandese che affianca agli anglicismi, e in Svizzera sono state emanate raccomandazioni e linee guida da parte delle amministrazioni contro l’abuso dell’inglese.
Le istituzioni non sono attente al problema
Da noi non solo non esistono simili istituzioni ufficiali e analoghi provvedimenti, ma quel che è peggio e che sono proprio le istituzioni, invece che proteggere l’italiano, ad allinearsi dalla parte dell’inglese e ad introdurre anglicismi istituzionali come il question time, il job act, i navigator, il cashback di Stato.
Sarebbe veramente opportuno che, nel linguaggio istituzionale, lavorativo, amministrativo e “ufficiale” andrebbero utilizzate le sole parole italiane, per trasparenza e soprattutto per il rispetto che si deve agli italiani e alla nostra lingua.
Allora, per promuovere il lessico italiano e necessario promuovere i nostri vocaboli e non farli regredire rispetto alle parole inglesi tramite campagne di sensibilizzazione, con l’emanazione di direttive, linee guida e raccomandazioni.
Paolo Ornaghi
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